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Sacks: ‘L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello’

Spesso si sente dire che la storia non è fatta solo dai vincitori ma anche dai vinti, dai dimenticati e dagli oppressi. Sarebbe più giusto dire che i vinti, i dimenticati, gli oppressi ma anche coloro che conducono una vita ordinaria, magari banale, non sono necessariamente determinanti nel corso della storia. Forse dire che qualcuno “ha fatto la storia”, ricordato o meno, significa epicizzarlo, ideologizzarlo, innalzarlo, in qualche modo. Che dire, tuttavia, di chi rimane a terra? Forse che la dignità dei pedestri debba essere a tutti i costi calpestata dalle orme dei giganti? Che una diversità di valore esista, pare assodato, ma chi viene considerato meno valido in virtù di una minore utilità della sua esistenza, merita davvero il disprezzo, l’indifferenza? L’oblio, senz’altro, sopraggiunge necessario. Che dire, invece, di chi una vita normale non può condurla? Dei deficienti, dei cosiddetti idiotsavant, dei menomati, degli handicappati? Probabilmente la pietà si mostra come la forma più raffinata e apprezzata di sprezzo, come il modo più consono per registrare, senza sporcarsi la coscienza, un certo tipo di dislivello. Il neurologo e scrittore Oliver Sacks, morto l’anno scorso, non può non averne tenuto conto, scrivendo L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello: ogni paziente, per quanto bizzarra sia la sua situazione, per quanto stravagante, fuori dall’ordinario, curiosa sia la sua vita, ha un diritto peculiarmente umano di avere il suo posto nel mondo, ha diritto al rispetto, nonché alla libertà di esprimere se stesso nel modo che gli è più congeniale.

Questo splendido saggio neurologico di Sacks fu pubblicato per la prima volta nel 1985 a New York e in esso il neurologo ha modo di raccontare in modo stringato ma lirico parte dei numerosi casi clinici di cui aveva avuto esperienza negli anni; si compone di quattro rubriche che si concentrano su pazienti affetti da disturbi affini: Perdite, Eccessi, Trasporti, Il mondo dei semplici.

Sacks, un neurologo controverso

Sulla comunità scientifica che si è scagliata contro il metodo, si dice, poco ortodosso del dottor Sacks, non si discuterà qui. Si tenga presente che a chi l’ha accusato di “scambiare i suoi pazienti per una carriera letteraria”, Oliver Sacks ha replicato, con plauso del mondo umanistico, che i suoi scritti non sono volti ad una cinica esibizione di un talento letterario, bensì alla ricerca del rispetto, allo stimolo verso determinate dinamiche sociali e sociologiche. Si deve insistere, infatti, sulla presa che tale saggio non deve avere necessariamente sui medici e su chi è “del mestiere”: la lettura di queste storie ha il compito di suscitare in chi sfoglia le pagine una maggiore consapevolezza e un occhio più critico e cosciente nei confronti di chi gli sta intorno. A tal proposito, si riporta un passo tratto dal racconto intitolato La disincarnata, che focalizza l’attenzione su una paziente affetta da un disturbo che spezza le connessioni tra cervello e corpo, in soldoni, rendendola scoordinata nei movimenti e priva di una vera coscienza del suo corpo, che va per conto proprio. Quando, dinanzi ai medici, non ha parole per descrivere il suo stato, Oliver Sacks aggiunge:

Non ha parole e anche noi non ne troviamo. E la società non ha né parole né comprensione per simili stati. I ciechi almeno ci trovano premurosi: riusciamo ad immaginare il loro stato e li trattiamo di conseguenza. Ma quando Christina si arrampica faticosamente su un autobus, trova solo un’incomprensione sgarbata e stizzosa: ‘Hey, signora, ma che fa? È cieca? È ubriaca?’. E lei, che cosa può rispondere: ‘Non ho la propriocezione?’. Questa mancanza di sostegno e di solidarietà sociali rende ancor più pesante il fardello di Christina: è un’invalida, ma la natura della sua invalidità non è chiara; non è, dopotutto, palesemente cieca o paralitica, o impedita in modo visibile, e il più delle volte viene trattata come una commediante o un’idiota. Ecco che cosa succede a chi è affetti da disordini dei sensi nascosti. Christina è condannata a vivere in un mondo indescrivibile, inimmaginabile, ma forse sarebbe meglio dire un ‘non mondo’, un nulla”.

L’inconsistenza della social catena

Il problema sta tutto nell’inconsistenza della social catena. Talora, nell’oppressione della social catena: Madaleine, nel racconto Le mani, vive nella stessa condizione di un neonato di poche settimane poiché, all’età di sessant’anni, i suoi familiari continuano a vivere la sua vita per lei, a nutrirla, a vestirla, a lavarla, essendo lei inconsapevole delle facoltà nelle sue mani, che non sa come usare. Il dottor Sacks, con un metodo che altri medici che si ritengono più esperti hanno definito “alla cieca”, stimola per induzione il movimento delle mani di Madaleine allontanandola dal cibo. Ella, per un bisogno animalesco, naturale, allunga le braccia e lo afferra. Passo dopo passo, quella signora, protagonista del racconto forse più toccante dell’intera raccolta, diventerà una sensibile scultrice di fama discreta.

Non che ogni paziente abbia avuto la fortuna di affermare il proprio genio alla stessa maniera, si andrebbe ad operare un controsenso rispetto a quanto affermato all’inizio; e sarebbe un torto, infine, nei confronti di Ray dai mille tic, della signora affetta dalla malattia di Cupido, della ragazza che muore tornando con la mente in India, della nostalgica incontinente.

Pietro Citati, nella sua recensione al libro, ha detto che la prima musa di Sacks è la meraviglia per la molteplicità dell’universo, una meraviglia quasi infantile, ingenua, sicuramente molto narrativa e affascinante. E questo saggio, che prende il nome, si ricorda, dal primo racconto, è uno di quei testi da leggere e poi consigliare a tutti, medici e malati, lettori di romanzi e di poesia, cultori di psicologia e di metafisica, vagabondi e sedentari, realisti e fantastici.

Ritrovarsi incasellati nella definizione di classico è una fortuna (o merito) che appartiene ad un numero veramente esiguo di prodotti letterari ed è davvero una rarità che tra questi figuri un testo di letteratura scientifica o, per meglio dire, medica. Che il saggio di Sacks possa andare incontro a questa sorte, che se ne possa dire “ha fatto la storia”, è solo l’innocente speranza di chi scrive.

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