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Destino crudele di Bellezza

“Destino crudele” di Massimiliano Bellezza

“Vedo una stanza avvolta nella penombra. C’è un’unica finestra dalla quale filtra la luce della luna, velata da leggere nubi. In un angolo noto un ragazzo disteso a terra. Non riesco a vederlo bene, sono troppo lontano. Poi la prospettiva cambia di botto, zoom. Sono io”.

 

Destino crudele (2010, Robin edizioni) è il romanzo d’esordio dello scrittore Massimiliano Bellezza. L’autore è nato a Cirè (TO) nel 1979, ed è un tecnico aeronautico, lavoro che nulla ha a che vedere con la scrittura. Eppure nel 2010 diventa autore, e pubblica l’opera Destino crudele – Storia di un giovane, partecipa a vari concorsi letterari come La Giara e Gran Giallo Città di Cattolica.  Si tratta di una giovane promessa nel panorama italiano. Nella sua narrativa affronta tematiche spinose e spazia dal romanzo di formazione/d’amore al thriller come in Quando cala il buio (2012, Butterfly edizioni). Destino crudele è stato revisionato e rivisto dall’autore nel 2015, il risultato di un’operazione di rifacimento del romanzo d’esordio.

Il romanzo affronta vari temi come quello della depressione, dell’adolescenza, dell’abuso di droga e si presenta innanzitutto come un ricco romanzo di formazione. Nel nocciolo del suo svolgimento l’autore analizza lo sviluppo di un tumore nel corpo di un giovane, evento tragico e inspiegabile quando si attanaglia proprio laddove la vita sta fiorendo. Bellezza lo fa non nel modo convenzionale, entrando nel merito dei sintomatologia e dei disturbi, che pur non vengono a mancare, ma si concentra sull’inquadramento dell’esterno e la critica degli altri (medici, infermieri, amici, madre e padre) che il malato produce da un letto d’ospedale. Nella prima parte Max vive una normale vita d’adolescente dove non mancano: gli amici, i divertimenti egli eccessi, l’amore. La seconda parte, che occupa quasi la metà del libro, è incentrata sull’elaborazione di una perdita graduale e ingiusta, quella della propria salute che scappa via come sabbia tra le dita.

Max Di Marco, il protagonista della vicenda, è cresciuto a Pasadena ma poi si trasferisce a Los Angeles: la madre, depressa per l’abbandono del marito, preferisce che lui si allontani dall’ambiente familiare e non partecipi all’esperienza della separazione. Il padre è consulente ed è spesso in viaggio, una figura assente, una sagoma vuota nella vita del ragazzo. Il narratore riflette spesso sugli avvenimenti, trasmettendo un piglio cinico e rassegnato ai suoi personaggi, come quando Amanda pensa: “Eh sì, la vita continua. E’ una delle poche certezze che abbiamo”. Bisogna quindi andare avanti, proseguire il cammino, così anche senza una figura paterna di riferimento, anche davanti alla malattia, agli ostacoli e le perdite. Max prosegue e va avanti nel compiere tutte le esperienze senza paura. Ha tutte le caratteristiche dell’adolescente problematico: in parte egoista, sente il peso della solitudine, è irascibile e permaloso. I problemi tra i genitori, la loro separazione, all’inizio sono un pesante macigno sulla spensieratezza giovanile, ne resta influenzato e pensa di frequente al padre, chissà dove sarà e con chi. Lontano dalla madre affranta, che vive a Pasadena, e da un padre evanescente, Max stringe nuove amicizie, si diverte e conosce Amanda, con la quale poi matura un profondo rapporto sentimentale che si tramuta presto in amore. Dopo un periodo di tranquillità apparente, Max viene colpito per la seconda volta (la prima a quattordici anni) da una grave malattia: tumore al cervello. Il ragazzo sperimenta presto un ennesimo ma più intenso dolore, inaspettato come ogni sofferenza sa essere. Ha soltanto diciotto anni, e a quattro dal primo intervento chirurgico deve fare i conti con un destino beffardo, crudele come il titolo suggerisce al lettore. E’ raro infatti che un tumore torni a prendere forma per la seconda volta nella stessa persona: si tratta di un’eccezione che conferma la regola, uno spergiuro del fato.

La scrittura è curata, il lessico molto elaborato e a tratti enfatico, i sentimenti e le sensazioni sono ben descritte, chiare. I personaggi sono trattati con profondità e la loro psicologia è rintracciabile nei comportamenti riportati dal narratore che parla in prima persona, testimone e protagonista dei fatti. L’autore tuttavia pecca eccedendo nell’intonazione diaristica, spesso travolto dalle considerazioni personali sulla triste vicenda – assenza del padre, errori materni, drammi personali – o le annotazioni morali sul padre o gli altri personaggi. A tratti sembra quasi che il protagonista abbia duplice caratterialità: riflessivo e introspettivo, ama la lettura, ha pochi amici ed  esce poco, come un nerd, dall’altra però è un inguaribile ribelle, assume droghe, ha un discreto successo nelle sue conquiste sentimentali che porta inevitabilmente allo sfacelo a causa di un comportamento irresponsabile.

In tal senso Bellezza riesce a descrivere a pieno la contraddittorietà, quando non l’ambiguità, insita nel percorso di maturazione adolescenziale. Eugenio Scalfari la definisce “onnipotenza mentale”, la convizione di essere padroni di sé e dei sentimenti, delle scelte proprie e di quelle altrui. L’adolescente nutre l’assoluta certezza di poter controllare qualunque cosa. Max Di Marco è così, un onnipotente, come tutti i suoi coetanei: è incavolato con la famiglia e con gli amici, se la prende con la sua ragazza Amanda ma poi si accanisce contro se stesso perché ha una coscienza. E’ collocato tra i buoni, i cattivi non ci sono neppure nel romanzo. Tutti sbagliano ma tutti si redimono. Anche il padre assente è un buono, è superficiale e stolto ma non conosce cattiveria. Riappare sula soglia del dolore in un momento incongruo che sfiora l’inverosimile e introduce nel romanzo un tono vagamente fiabesco. Il protagonista, quando egli comprende che il mondo può lasciarlo (il ragazzo non può che attendere inerme) anche a diciotto anni, improvvisamente cresce…ma non può mostrarsi a nessuno, la morte è arrivata prima di annunciarsi. Se lo fa, è solo nei sogni che il protagonista può rivelarlo a chi legge: premonizioni inquietanti, incubi, immagini di un corpo che si sta congedando dall’esistenza. La dimensione onirica innesca dei dubbi, anticipa, prepara in un certo senso, un funesto finale.

Destino crudele è un romanzo in cui la tragicità del reale investe i personaggi, rassegnati e vinti da un mostro che strappa loro la forza di qualunque ribellione. Il tumore ispira sempre la rinuncia per chi resta a guardare e non può fare niente per il malato, ma in questo caso la ripetizione di un male in un corpo ancora giovane non può che essere interpretato come accanimento del maligno nei confronti del bene. I personaggi, amici e familiari di Max, restano a guardare impietriti, come statue di terracotta, non possono nulla contro il mostro.

Ma qual è la risposta dell’autore? Come si fa ad opporsi alla malattia? Vivendo ogni attimo, non lasciandosi fuggire il presente. Anche il giorno più banale può regalare una vittoria, il messaggio dell’autore potrebbe essere sintetizzato in questo modo: la vita è il trionfo contro ogni forza demoniaca, contro il tumore solo il sorriso può avere la meglio. Così, i sorrisi della mamma di Max sono segni di luminescenza, di una piccola nascosta speranza, dello spirito di lotta che vige in ogni essere vivente. Lo stile di Bellezza rievoca un andamento otto-novecentesco, dal gusto retrò, con grandi flash back che, nella prima parte, ricoprono interi capitoli. Per quanto riguarda terminologia, l’autore piemontese va spesso a ripescare nel vecchio repertorio letterario un po’ superato (sopraggiungere, immemore, forsennato, ecc), utilizzando lessemi che forse andrebbero evitati per rendere più agevole la lettura. Tuttavia, si alternano parti più tradizionali ad altre in cui il linguaggio colloquiale e gergale rende più fluida la lettura. L’ambientazione è scarsamente ricostruita, solo accennata: i riferimenti diretti ai luoghi ci sono ma non bastano a fornire una effettiva esplorazione mentale e immaginativa del contesto spazio-temporale. La narrazione è ballerina, raccontando cosa accade prima e le conseguenze della malattia sul protagonista, che sembra acquisire maturità e assennatezza durante la degenza in ospedale. I dialoghi sono essenziali: Bellezza si concentra maggiormente nella diegesi, che si annuncia subito scorrevole dalle prime pagine. C’è un gusto per il dramma, a volte per il melo, in alcuni punti un po’ eccessivo: tuttavia amaro e dolce si insaporiscono vicendevolmente e rendono agevole la svolta drammatica di quello che, sulle prime, sembra essere un romanzo di formazione. Si scopre invece l’intonazione prediletta verso la drammaticità e l’amore. L’opera perciò non è ascrivibile al genere del romanzo di formazione, lo trascende per completarsi nel dramma sentimentale.

Chi legge è condotto dal narratore a sperimentare l’impotenza di essere: l’alternativa del malato durante le quindici giornate di degenza ospedaliera in attesa della fine è osservare il mondo. La luce del sole che entra dalla finestra, la cordialità delle infermiere, i medici. Il medico è oggetto di analisi dal protagonista, lo pone sotto una luce diversa, fornendo spunti per un capovolgimento. Il medico è un uomo come tutti gli altri, non soltanto un professionista. La descrizione dell’avanzare del tumore è catturata nelle espressioni del volto del dott. Shirpe. Il male è un ciclone che non si arresta, invade tutto, corrompe la gioia, la fiducia dei medici e lascia tracce nelle rughe sul viso:

 

“Ogni traccia di ottimismo è svanita e la pacatezza è lontana, è teso nel volto dalla mascella contratta, nel cipiglio concentrato. Le vene sulle tempie pulsano in rilievo, a denotare quanto sia in allarme. Era partecipe del mio graduale miglioramento. Un brutto colpo anche alle sue capacità”.

 

Ed ecco che il tumore, ovvero la paura di non poter vivere senza padre, rappresenta questo spettro di insufficienza esistenziale: la vita è una e va apprezzata, ma spesso i giovani disperdono le energie necessarie a distruggerla. L’autore, riguardo la sua scelta di scrivere, afferma: “Scrivere mi libera la mente, mi fa volare lontano, andare dove voglio senza bisogno di alcuna prenotazione. Mi fa ‘entrare’ in situazioni lontane dalla mia vita quotidiana, essere chi desidero; posso ferire, combattere, deludere senza i rammarichi, il dolore dell’esistenza reale”.

Destino crudele è un romanzo che fa riflettere sul senso della giovinezza: una fase passeggera e preziosa della vita che andrebbe valorizzata con comportamenti coscienziosi e sereni. Fa capire che le azioni hanno delle conseguenze e che come nel gioco dei dadi, la fortuna può abbandonarci in ogni istante, la vita è un frutto proibito a molti, acerbo e che matura prima ancora che la mano che l’afferri. Polposa ma acerba, ossimorica: la vita di un malato è incerta, ostacolata. L’elezione non è destinata ai più, e gli orgogliosi, i fieri che non chiedono mai aiuto pagano pegno perché pensano di non aver bisogno dell’altro. Questo è l’altro messaggio presente nel romanzo: nessuno è invincibile da solo. Ogni uomo necessita di amore, e l’amore salva. La morte però lascia i loquaci interdetti, e ciechi coloro che hanno buona vista: sta al buon senso comprendere il confine del male, e gioire nella semplicità del quotidiano. Nel caso di Max, forse il destino ha deciso che questa è la sua unica occasione, resta comunque una maschera dai contorni incerti, tutti da completare.

 

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