La pianista di Auschwitz della scrittrice, ex-avvocato, australiana classe 1966 Suzy Zail (Newton Compton Editori, 2016), dopo Il bambino di Auschwitz, rappresenta un drammatico affresco della più volte trattata tematica dell’Olocausto, visto attraverso gli occhi di una giovane pianista ungherese. Hanna vive nel ghetto ebraico di Budapest insieme alla sorella maggiore Erika e ai loro genitori, fino al giorno in cui un gruppo di ufficiali dell’SS comunica loro che saranno trasferiti altrove, insieme a tutti gli altri ebrei del ghetto. La vita di Hanna cambia all’improvvisto, dalla tranquilla esistenza che conduceva esercitandosi al piano ogni giorno e sognando il Conservatorio di Budapest alla realtà dei campi di sterminio, passando per un viaggio di incertezza attraverso l’Europa centrale, fino alla Polonia meridionale.
Lei e la sua famiglia, insieme a migliaia di ebrei, vennero stipati dentro i vagoni di un treno, per poi viaggiare in piedi per giorni, senza cibo né acqua. Molti di loro morirono durante il trasferimento e i cadaveri vennero separati dai sopravvissuti solo a destinazione. Per un fortuito caso Hanna, appena arrivata a Birkenau, incrocia un detenuto del campo che, intuendo l’età della ragazza, le consiglia di mentire alle guardie e di spacciarsi per una giovane di sedici anni anziché di quindici. Solo così Hanna potrà seguire la madre e la sorella ed evitare una morte immediata dentro i forni crematori. Durante la separazione iniziale a seconda del sesso, Hanna saluterà per l’ultima volta il padre. Poi, insieme a Erika e alla madre, verrà assegnata a una baracca e le saranno rasati i capelli. Da quel momento in poi Hanna smette di esistere per il mondo, sostituita dal numero di serie che le viene tatuato al polso. Eppure la pianista che c’è il lei continua a vivere, attraverso le composizioni di Clara Shumann che Hanna suona su un pianoforte immaginario durante le lunghe notti accatastata sulla branda insieme ad altre detenute. Ma il fato sembra volere per lei più di una morte prematura di stenti e fatica, infatti un’altra casualità la porterà a diventare la pianista personale del comandante del campo, riuscendo così a trascorrere le giornate al caldo e a rubare gli avanzi dalla cucina per lei e la sorella. Rischia ogni giorno di essere scoperta e di venire uccisa per furto, ma il coraggio e il desiderio di ricongiungersi con il padre e la madre, portata in infermeria e mai più tornata alla baracca, sembra darle la forza che le manca per andare avanti. Dentrola disperazione di un futuro incerto, un nobile sentimento sboccia nel cuore di Hanna, quello nei confronti di Karl, il figlio dello spietato comandante del campo, che l’aiuterà a distribuire viveri per i detenuti, all’insaputa del padre e delle altre guardie.
La pianista di Auschwitz è la versione romanzata di una storia drammaticamente vera; Hanna non esiste, ma come lei milioni di ebrei hanno davvero sognato, pianto e lottato fino all’ultimo respiro per la propria sopravvivenza dentro ai campi di sterminio nazisti, alcuni riuscendoci, molti altri no. Il romanzo ha un finale aperto che, nonostante lasci a desiderare dal punto di vista narrativo, storicamente parlando è una scelta ben studiata. Quello che accadrà ad Hanna in futuro non è certo, si lascia a libera interpretazione, ma da quel momento in poi solo lei potrà decidere del proprio destino. Forse una delle uniche pecche della storia è la mancata caratterizzazione di Karl, che poteva essere accentuata maggiormente. Il figlio di un noto comandante nazista parteggia per gli ebrei, sfida il padre e tutto il suo popolo, eppure rimane sempre sullo sfondo, in maniera sfumata. Se l’autrice avesse puntato di più l’attenzione su di lui il lettore non sarebbe rimasto con molti interrogativi irrisolti alla fine del libro. Il romanzo è una lettura che risveglia le coscienze, non solo in prossimità del Giorno della Memoria (celebrato il 27 Gennaio), ma in qualsiasi momento. Attraverso gli occhi di Hanna il lettore fa un viaggio dell’anima, struggente e catartico. Il romanzo di Suzy Zail è stato in lizza nel 2015 per il “West Australian Young Readers’ Book Award”.