Il romanzo Nella fine…il principio (Lettere animate editore, 2015) dello scrittore marchigiano classe 1987 Paolo Santamaria è un profondo e allo stesso tempo rapido squarcio nella vita di Adam Calden: la vita di un bambino sensibile, timido e introverso dall’ età infantile a quella adulta. Santamaria riesce a far capire i dettagli più difficili e scomodi della vita di Adam: un’infanzia per niente facile, tra disagi scolastici, incomprensioni con il fratello Chad e il divorzio dei propri genitori. Adam riesce a convivere con le sue fragilità e gli ostacoli che gli pone la vita: denominatore comune sono le ragazze che incontra e di cui si innamora, soprattutto due di queste, Julie e Peyton. Conosciute in circostanze e periodi diversi della sua vita, Adam riuscirà a fare i conti con entrambe (e con se stesso) solo alla fine della sua storia.
La vita difficile che attraversa che il padre di famiglia Adam e la sua indole fin troppo sensibile finiscono per schiacciarlo: a seguito di un grave evento cade in l’infanzia, l’eterna complice, Carter, il suo primo vero grande amico, il fratello gemello Chad. E anche il dott.Stuart Drake, il suo analista, col quale stringerà un rapporto speciale durante gli anni della terapia e sarà grazie a lui che Adam vivrà il colpo di scena finale della sua vita, delle sue ultime pagine.
Dall’essere figlio all’ essere padre, attraversando conoscenze complesse, soprattutto con l’altro sesso, la storia di Adam, ambientata dagli anni settanta agli anni duemila, è un qualcosa a cui ogni lettore può facilmente rifarsi e compenetrarsi: narrare la vita, anche se per finzione, richiede un grande sforzo di realtà, più che di fantasia. Ed è proprio questo che Paolo Santamaria riesce a trasmettere, seppur con risultati altalenanti. Descrivere la realtà della vita senza smettere di sognare non è compito facile: il tempo della narrazione ora descrive dei lunghi periodi dilatati, ora ha delle impicchiate temporali, forse troppo frettolose, ma che riescono comunque a dare degli squarci efficaci di realtà. Questa storia, che scorre con ritmo lento e inesorabile tra le pagine, sprona a riconsiderare il concetto di “fine” delle cose: quando qualcosa finisce, non bisogna perdersi d’animo, ma invece essere attenti, in quel momento, a capire i segnali della fortuna, interpretarli e agire. Quei segnali che molte volte Adam non riesce da subito, nella corso della sua vita, ad interpretare: ma è un personaggio che nella narrazione cresce e si evolve: il lettore diventa quindi un silenzioso compagno di “vita” o, meglio, di pagine.
Il risultato fianle è che Paolo Santamaria, seppur in maniera a volte macchinosa, riesce comunque nell’intento di coinvolgere il lettore attraverso un’accurata analisi psicologica del protagonista, e di fargli capire le difficoltà che Adam, come tutti, incontra nella vita: la sua fragilità riesce però ad avere un risvolto positivo. Proprio la sua debolezza sarà fonte di rivalsa e capovolgerà la sua esistenza, ma solo nelle ultime pagine di questo romanzo di formazione acerbo ma emozionante che ci fa sperare in un nuovo inizio dopo un evento doloroso.