Nomi di donna (L’Erudita, 2016) è la terza raccolta di racconti di Gianluca Pirozzi (Storie liquide, Nell’altro). I tredici racconti narrano le vicende di tredici donne di estrazione sociale e culturale, etnia e città diverse, e sono accompagnati dai disegni di Clara Garesio, veri elementi artistici che conferiscono al libro una qualità estetica decisamente notevole.
Nomi di donna, di tredici donne
La raccolta è suddivisa in quattro parti: “All’aurora”, “Di giorno”, “Al tramonto”, “Di notte”. Queste quattro parti della giornata vanno a scandire, il tempo di queste donne che lavorano, amano, corrono, odiano, vivono e, a volte, muoiono durante il giorno. Tredici donne normali, dunque, le cui storie rappresentano la quotidianità.
Nella raccolta sono presenti racconti ben strutturati e interessanti, come quelli di Monica e Stella, entrambe costrette a fare i conti con se stesse per superare due lutti: del marito Carlo per la prima, del padre per la seconda. C’è anche Agata – e il suo è forse, insieme a quelli di Aristea la prostituta e Bianca, fuggita dall’Africa, uno dei racconti meglio riusciti – che, sposata con Ezio, un perdente incapace di trovare un lavoro in grado di mantenere moglie e figlio, si ritrova a dover fare i conti con l’ira omicida dell’uomo. Altro racconto molto bello è quello di Fabiana che, intrappolata in un corpo di donna (e con un nome di donna), narra il percorso che la porta a diventare Andrea.
La bellezza di questi testi sta nella delicatezza con cui vengono affrontate tematiche di rilievo, quali la violenza domestica, la transessualità, l’immigrazione, la prostituzione. Alle donne protagoniste vengono date voci forti, indipendenti, da protagoniste. I dettagli sono poi ciò che rende questi racconti verosimili: al lettore vengono offerti difetti, dubbi, piccole manie (il voler curiosare di Nadia nei beauty case delle ospiti dell’albergo di lusso per cui lavora; l’ossessione di Clara riguardo il portarsi a letto qualche oggetto che le ricordi la sua vita) e, soprattutto, tanto passato, tanto background. Questi racconti sono piccoli capolavori che da soli valgono la lettura del libro.
Nomi di donna, qualche incrinatura
Ci sono tuttavia anche racconti meno efficaci dal punto di vista stilistico e narrativo. È il caso di quello dedicato a Edda, affascinata dalle lingue al punto di arrivare a lavorare come interprete per l’ONU. Questo racconto ha un prologo (rappresentato dal sogno iniziale) troppo lungo e poco pertinente rispetto alla trama stessa. Altro racconto poco funzionale è quello di Giovanna, l’ultimo, che dovrebbe fungere da chiusura della raccolta. Si tratta di un dialogo fra due anziani fratelli: Giovanna appunto, 75 anni, e Sandro, 79. Il punto nodale di questa storia è la (potenzialmente) interessante digressione sull’importanza dei nomi: «I nomi, Sandro, non sono un dettaglio da poco o una casualità! È vero, non ce li scegliamo, al massimo tentiamo di adattarli storpiandoli con diminutivi o surrogati, ma sta a ciascuno di noi dargli il senso che ogni nome reca in sé e a riempirli dei nostri significati e del nostro modo di essere con la nostra vita».
Tale digressione però non viene sviluppata, anzi, viene troncata dal fratello della donna: «Giovanna, sorella adorata, ci rinuncio a comprendere: a quest’ora sono troppo stanco per starmene qui con te, quando mancano pochi minuti alla mezzanotte, e per continuare ad ascoltare questa dissertazione filosofica e filologica sul nome che portiamo».
Questa citazione porta a galla uno dei punti deboli di questo (e di altri pochi, per fortuna) racconti: l’inverosimiglianza dei dialoghi. Parliamo qui di due fratelli anziani che fanno i conti della propria vita; dovrebbero conoscersi bene e sapere molte cose l’uno sull’altra, eppure il loro modo di parlare risulta a tratti artificioso, non spontaneo:
«Giovanna non ti riconosco, sei sempre stata tu a dire che i nostri genitori sono stati troppo impegnati ad inseguire i propri obiettivi e a difendere i propri interessi: non hanno avuto tempo, né spazio mentale, né forse la capacità per poterci ascoltare e anche di comprendere il nostro malessere, tanto da aver fatto, tu ed io, di questa condizione d’abbandonati psicologicamente – certo non materialmente – il terreno sul quale la nostra relazione di fratello maggiore e sorella minore si è andata sviluppando in ogni istante della nostra vita, ingabbiando il nostro sentimento in una specie d’armatura alla quale nessuno dei due è mai potuto fuggire e nella quale io sono stato sempre quello che proteggo e tu, Giovanna, quella da proteggere!»
Altra nota negativa è la presenza di qualche refuso, di veri e propri errori sintattici (l’uso della virgola fra soggetto e predicato, soprattutto dopo un lungo elenco di soggetti) e l’uso massiccio di d eufoniche che a volte appesantiscono il testo. Ecco un esempio: «Benché provi a prestare attenzione ed abbia all’inizio pensato che possa trattarsi di uno scherzo, le parole pronunciate, ora dalla mamma, ora dalla nonna, appaiono ad Edda come suoni che hanno perso ogni significato».
Si può dire che Nomi di donna sia una raccolta di indubbio interesse, in grado di emozionare in più di un’occasione sia per le parole usate (nonostante una narrazione a tratti troppo elevata per l’occasione e delle frasi a volte troppo complesse e cariche di subordinate) sia per le tematiche affrontate. Qualche punto di debolezza e un editing non proprio eccezionale non hanno però consentito lo sviluppo completo di un testo per altri versi magnifico.