La migliore offerta (Warner Bros, 2013) è un film di Giuseppe Tornatore, regista dell’indimenticabile e magico Nuovo Cinema Paradiso (pellicola che ha vinto l’Oscar come miglior film straniero nel 1988), La leggenda del pianista sull’oceano (1998), Malèna (2000), La sconosciuta (2006) e Baarìa (2009). Il protagonista de La migliore offerta è Virgil Oldman (interpretato da Geoffrey Rush), un eccentrico esperto d’arte che vive la sua vita in solitudine, soprattutto lontano dalle donne, eccetto quelle rappresentate nei quadri di cui ama circondarsi. Un giorno riceve un’insolita chiamata da parte di Claire Ibbetson, una giovane ereditiera che richiede i suoi servigi per inventariare e vendere all’asta i beni di famiglia. La donna però non si presenterà a nessuno degli appuntamenti fissati con Virgil che, irritato dal comportamento della cliente, deciderà di rifiutare l’ingaggio. Sarà solo dopo aver scoperto che Claire soffre di agorafobia e che non esce di casa dall’età di quindici anni che Virgil prenderà a cuore il caso della donna, aiutandola con l’eredità di famiglia e finendo con l’innamorarsi perdutamente di lei, nonostante la grande differenza di età fra loro. Il cast de La migliore offerta, oltre a Geoffrey Rush, può vantare attori del calibro di Donald Sutherland (nei panni di Billy, migliore amico di Virgil) e la modella olandese Sylvia Hoeks, che interpreta la misteriosa Claire Ibbetson. Le musiche del film sono del premio Oscar Ennio Morricone, un binomio, quello fra Tornatore e Morricone, che il regista porta avanti sin dall’inizio della sua carriera.
La migliore offerta: trama e stile
La trama de La migliore offerta inizia con un andamento ricco di suspense, che promette dei risvolti horror, continua come un film sentimentale per poi concludersi in un vero e proprio thriller, ma in realtà la pellicola non appartiene a nessuno di questi generi. Difatti La migliore offerta è un film di formazione, nonostante il protagonista abbia più di sessant’anni, che racconta della vita e delle sue mille sfaccettature. Le tematiche ricorrenti nella trama sono: il dualismo finzione/realtà (lo stesso Virgil afferma: “In ogni falso si nasconde qualcosa di autentico”), il concetto di bellezza (Virgil è un banditore d’asta e ha un’ossessione per i ritratti di donna) e il disagio esistenziale nell’entrare in contatto con il mondo esterno (Claire soffre di agorafobia e Virgil porta sempre dei guanti di pelle che usa come barriera per non lasciarsi contaminare dalle persone). La migliore offerta è il racconto di come dietro una menzogna possa celarsi la verità, persino Virgil è un impostore: nell’ambito lavorativo spesso truffa i clienti delle sue aste per aggiudicarsi i pezzi migliori al minor prezzo, e nella vita privata è un automa, per paura di soffrire ha vissuto una vita solitaria traslando il suo bisogno d’amore nelle immagini statiche delle donne dei suoi quadri, credendo che questo surrogato potesse bastargli per sempre. Sia all’inizio che alla fine del film vediamo il protagonista cenare da solo in un ristorante, come se Tornatore volesse dare un andamento ciclico alla trama (come accade anche in Baaria), ma in realtà il Virgil dell’ultima scena a Praga non è lo stesso dell’inizio, ora è un uomo pieno di speranza, che ha perso sì le cose materiali alle quali più teneva, ma forse ha trovato qualcosa di più importante. Finalmente qualcosa di autentico.
Tornatore fa rientrare La migliore offerta nel filone del thriller metafisico insieme alla Sconosciuta e a Una pura formalità, intessendo in un raffinato gioco di ingranaggi, una storia d’amore tra un esigente misantropo ossessionato dall’arte e dalla bellezza e una sua cliente, una misteriosa giovane agorafobica su uno sfondo di una città mitteleuropea. Il regista non vuole redimere il suo protagonista, si limita a smascherarlo costruendo intorno a lui un labirinto di visioni ed immagini. La pellicola analizza la complessità dei rapporti umani, tra inganni e menzogne, in bilico tra dramma e suspence, sconfinando soprattutto nel finale in un autentico thriller dove si sovrappongono troppi piani temporali che disorientano lo spettatore, cui il regista, nel finale, fornisce troppe soluzioni e spiegazioni. Due certezze sembrano emergere dal film: “In ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico!” e “I sentimenti umano, come le opere d’arte, si possono simulare”.