Il regista iraniano Abbas Kiarostami si è spento il 4 luglio scorso, all’età di 76 anni a Parigi in seguito ad una grave malattia. Ex agente di polizia stradale e pubblicitario, Abbas Kiarostami è stato uno dei maggiori rappresentanti dell’Iranian New Wave e del cinema d’autore internazionale. Nonostante l’instabilità politica e sociale del suo Paese, Kiarostami aveva deciso di restare in patria anche dopo la rivoluzione degli ayatollah del 1979 lottando con gli organi deputati dal regime per vigilare e tutelare le attività artistiche.
L’attività di Kiarostami non si è limitata solo al cinema, dove è stato anche sceneggiatore, ma anche alla fotografia, alla pittura, al design grafico. Il cinema del regista iraniano risulta essere un mix di politica e filosofia, poesia e allegoria, caratterizzato dal racconto di storie di villaggi rurali. Guardare un film di Kiarostami è come vedere l’erba crescere, non un’esperienza elettrizzante che tiene lo spettatore incollato allo schermo, ma una conoscenza lieve e poetica che qualcuno potrebbe trovare noiosa.
Nel 1970 l’autore iraniano gira il primo di una lunga serie di corti come Il pane e la strada, e Dov’è la casa del mio amico? (1987), intensa opera neo-neorealistico che conferisce a Kirostami la notorietà. Durante gli anni ’90 la critica occidentale gli riconosce grandi qualità di narratore astratto dal tratto polisemico, fortemente influenzato dalle filosofie sincretiche dell’antico Islam persiano. Kiarostami attraverso pellicole come Close-Up, E la vita continua, Sotto gli ulivi, Il sapore della ciliegia, vuole far chiarezza nel caos presente nel mondo, facendo ricorso alla più fervida immaginazione, senza tralasciare alcun dettaglio, ma anche ad esasperate lentezze, tempi dilatati e lunghi silenzi. Si potrebbe definire Abbas Kiarostami uno scrutatore dei segreti della realtà, autore d’élite che giunge alla concretezza attraverso l’astrazione, un cineasta anticonfromista che sfida lo spettatore, inducendolo a guardare in silenzio la natura, come lui, fino a convincerlo che tutto ciò che ci circonda, in realtà è già un film.
Il misterioso Il vento ci porterà via e il documentario ABC Africa meno, fino al sopravvalutato Dieci, rappresentano un cinema di raffinata osservazione, dei veri e proprio viaggi su e giù per l’Iran. I successivi film Tickets (cofirmato da Ermanno Olmi e Ken Loach), Copia conforme e Qualcuno da amare danno l’impressione che l’autore iraniano si sia un po’ troppo adagiato sulla propria ricerca, una profonda per un cinema spoglio, che scaturisce dall’attenzione del Kiarostami presta al realismo e al simbolismo.
Il capolavoro universale di Kiarostami è senza dubbio Il sapore della ciliegia (1997), storia di un uomo che vuole suicidarsi e che, per farlo, cerca l’aiuto di qualcun altro. Una pellicola laica ed empatica, ricca di interrogativi sul senso della vita e della morte, celebrata con una Palma d’Oro consegnata dall’attrice francese Catherine Deneuve che regalò al regista iraniano anche un bacio. Un bacio che, secondo le proibizioni del governo islamico, non doveva avvenire e che lo costrinsero persino ad essere bandito dalla sua terra per una settimana.