Quando sentiamo parlare di noir, probabilmente ciò che viene in mente sono immagini cupe dei vecchi film in bianco e nero della vecchia Hollywood. Ma dietro il concetto stesso di noir si nasconde, più che una definizione teorica e definitiva, un insieme di caratteristiche stilistiche che comprendono elementi tecnici e tematici ricchi di sfumature.
Il noir è proprio questo, una sfumatura. Ci sono diversi dibattiti in corso che portano avanti argomentazioni sulla definizione più o meno precisa di cosa sia o come inquadrare questo genere cinematografico e quasi tutte si ritrovano a dare al noir più una definizione di stile che di genere. Una delle particolarità che rende questo stile cinematografico riconoscibile tra gli altri è data dall’influenza derivata dall’espressionismo tedesco e quindi da quei registi che a causa del nazismo decidono di lasciare l’Europa, per approdare negli Stati Uniti. Tra questi Robert Siodmak, insieme a registi come Fritz Lang, Billy Wilder, Edgar G. Ulmer, Otto Priminger ed altri ancora, grazie alla continuità della sua produzione ha dato un fortissimo contributo al noir degli anni Quaranta in America. I caratteri predominati sono un uso predominante del contrasto bianco/nero, la presenza nella trama di un atto criminoso, che spesso riguarda l’omicidio di uno dei protagonisti, l’uso del flash-back e la chiara ambientazione urbana. Le vicende si svolgono, nella maggior parte dei casi in grandi metropoli americane come New York, Chicago, San Francisco, ma alcuni registi hanno preferito spostarsi e focalizzare la loro attenzione su uno spazio in netto contrasto con quello urbano, la casa.
Tra le pellicole più conosciute che identificano la casa come un organismo che vive una propria autonomia e che nasconde tra i corridoi e gli antri oscuri il male, La scala a chiocciola (The spiral Staircase; USA, 1945) di Robert Siodmak, è tra i film più rappresentativi dello stile cupo del noir, che hanno come caratteristica fondamentale l’ambientazione domestica che assume questo carattere claustrofobico.
La pellicola è ambientata in un’America dei primi del Novecento e racconta la storia di una giovane donna, Helen, colpita da afasia che vive in una grande casa come ragazza alla pari presso la famiglia Warren. La proprietà che viene presentata è un grande maniero neogotico sperduto nelle campagne inglesi. Gli abitanti del luogo sono terrorizzati dalla presenza di un manico seriale che colpisce le ragazze affette da malformazioni, per cui Helen, rientrando nella categoria, potrebbe essere la prossima vittima. La casa raffigura il luogo in cui i personaggi si sentono protetti dal male che vive al di fuori di essa, ma il noir ha modificato spesso questa visione, affidando alla casa un ruolo da protagonista e trasformandola da luogo sicuro a trappola mortale. Il film prosegue mostrando al pubblico piccoli indizi che portano ad intuire che l’assassino è proprio un abitante della casa.
Siodmak, grazie anche all’importante contributo di Nicholas Musuraca che cura la fotografia, riesce immergere lo spettatore all’interno di questa violenta sensazione claustrofobica, che indirizza l’intero film. La vera protagonista della pellicola è quindi la casa, che è di per se un archetipo “con la sua solenne vetustà, gli spazi vasti e tortuosi, le ali abbandonate o fatiscenti, i corridoi umidi, le malsane catacombe segrete e una costellazione di fantasmi e leggende terrificanti, rappresentava il nucleo centrale da cui si irradiavano ansia e paura demoniaca”(1). Siodmak infatti riesce, grazie ad un importante uso della tecnica del chiaroscuro, a dare all’ambientazione domestica una forte autonomia, animata poi dalla presenza dei suoi abitanti.
Con questo film Siodmak ha realizzato uno dei migliori noir desuet, che secondo la definizione di Borde e Chaumenton indica quei noir che sono ambientati in periodo tardo vittoriano, fatto di case gotiche, donne in crinoline e assassini che si nascondono e scompaiono dietro la nebbia inglese.
La grande tenuta dei Warren è popolata da diverse personalità. I servi, che con Helen dividono gli ambienti quotidiani e che si dimostrano protettivi nei suoi confronti. I due padroni di casa, due fratelli in perenne tensione tra di loro: Albert, lo stimato e serio professore, e Steve, dongiovanni, da poco rientrato dall’Europa. Bianca, la giovane assistente di Albert e la signora Warren, un’anziana donna dalla forte personalità, ma malata e quindi costretta a letto.
I personaggi che vivono in casa sono intrappolate in essa. La Signora Warren è lei stessa imprigionata nella sua stanza, incapace di muoversi dal letto, ha un’infermiera che non sopporta che sorveglia la sua stanza. La camera da letto è inserita nel contesto gotico della villa con il suo arredamento eccentrico caratterizzato dalla presenza di animali imbalsamati, un tappeto ricavato dalla pelle di una tigre, farfalle appese alle pareti. Tutti animali che in vita rappresentano la forza, la libertà adesso sono presentati dopo la loro morte in completa immobilità e debolezza. Si presenta quindi un altro carattere del noir che propone spesso l’analogia tra il personaggio e la stanza che abita. La donna esattamente come i suoi animali impagliati, parla sempre, forse troppo, vede tutto, sa tutto, ma fatica ad attivarsi fisicamente, è intrappolata.
L’altra donna della casa è Bianca, contesa tra i due fratelli, anche lei desidera scappare dalla casa e quando deciderà di farlo, verrà uccisa. Come afferma la Signora Warren, i rami degli alberi intorno alla villa sono come scheletriche braccia che avvolgono la casa soffocandola. Chiunque vi rimanga rischia di morire. Perfino l’infermiera decide di andar via. La casa rimarrà in balia delle volontà dell’assassino.
La scala è l’arteria principale di questo grande organismo, sui grandini avvengono alcune delle situazioni più importanti ed emozionanti del film divenendo l’elemento fondamentale di questo noir. La casa, appare anche in altre pellicole nella sua forma predominante. Notorius (1946), Psyco (1960) del maestro del brivido Alfred Hitchcock, sono solo un paio di esempi in cui la casa diviene funzionale alla suspense, in termini di dilatazione del tempo e frammentazione dello spazio. La scala è un’immagine della paura che aumenta costantemente più si scende verso la cantina. Diviene tramite per gli inferi, luogo del rimosso dove “nel buio accadono tante cose”. Antro lovecraftiano di orrori indicibili la cantina della casa ha anche una sua voce, un soffio di vento che spira inoltrandosi tra le porte.
Siodmak mette inoltre in atto quella “poetica degli oggetti” tanto cara ad Hitchcock. Secondo questa prospettiva infatti anche le cose più semplici e di uso quotidiano possono assumere degli aspetti e delle prospettive cupe e mostruose.
“La fotografia di Musuraca sottolinea la claustrofobia attraverso la presenza di forti caratterizzazioni delle due scale principali della casa. Quella di rappresentanza, è interamente decorata e attraverso le sue forme crea intorno alla protagonista il motivo a sbarre che intrappola la figura. La scala a chiocciola, da cui il film prende il nome, è quella di servizio che porta verso la cantina. A differenza di quella principale è scarna, essenziale, ma la sua forma a spirale non la rende meno ossessiva della prima. Lo spazio che viene racchiusa dalla spirale della scala introduce Helen nelle spire della paura” (2). E questa gabbia viene costruita dalle ombre dei passamano delle scale sulle mura della cantina e della villa. Queste intrappolano e letteralmente segregano tutti gli abitanti in questi spazi. La grande casa ha stanze imponenti, areose, che comunicano le une con le altre, ma questo non basta per eliminare l’angoscia che la pervade.
Questa pellicola, dalla trama avvincente, permette quindi di fare una riflessione sull’importanza dello spazio in cui avvengono le azioni, soprattutto quando questo spazio non si limita ad accoglierle, ma diventa esso stesso protagonista principale agendo sui personaggi. Paura, ansia, angoscia sono solo alcune delle sensazioni che vengono strasmesse.
Con La scala a chiocciola, Siodmak è riuscito a dare alla casa un’immagine che nel noir verrà utilizzata soprattutto quando vi è l’intenzione di destabilizzare il protagonista dalle sue certezze. Generalmente la casa del noir, simboleggia sicurezza e protezione dal male che vive per le strade della città, ma questa come altre pellicole dimostrano che non sempre è così.
(1)Robert Siodmak. Il re del noir, a cura di Emanuela Martini, Fondazione Cineteca Italiana, Bergamo, 2000, pag. 90
(2) Alberto Guerri, Film noir. Storie americane, Gremese Editore, Roma, 1998