L’avevamo lasciato con il suo inutile diario sul Covid, il fresco e annunciato vincitore del Premio Strega 2020, Sandro Veronesi, nonché con ben 47 articoli che il Corriere della Sera (quotidiano dove lo scrittore toscano collabora) ha dedicato al suo libro Il colibrì, storia che parla di amore, dolore e forza, dopo essersi lamentato della scalata alla classifica Amazon del libro Virus, del virologo Roberto Burioni, reso noto da quest’ultimo su Twitter. Veronesi che sbotta contro un libro quando del suo se n’è parlato abbondantemente unitamente al diario in tempo di quarantena, fa quantomeno ridere, sebbene la connaturale tendenza a rinfacciare agli altri i propri stessi limiti (ossessione per le classifiche, permalosia, narcisismo, bramosia di marketing) ormai, si sa, è ormai un assioma.
Sinossi del romanzo di Sandro Veronesi
Il colibrì è tra gli uccelli più piccoli al mondo; ha la capacità di rimanere quasi immobile, a mezz’aria, grazie a un frenetico e rapidissimo battito alare (dai 12 agli 80 battiti al secondo). La sua apparente immobilità è frutto piuttosto di un lavoro vorticoso, che gli consente anche, oltre alla stasi assoluta, prodezze di volo inimmaginabili per altri uccelli come volare all’indietro. Marco Carrera, il protagonista del nuovo romanzo di Sandro Veronesi, è il colibrì. La sua è una vita di perdite e di dolore; il suo passato sembra trascinarlo sempre più a fondo come un mulinello d’acqua. Eppure Marco Carrera non precipita: il suo è un movimento frenetico per rimanere saldo, fermo e, anzi, risalire, capace di straordinarie acrobazie esistenziali. Il colibrì è un romanzo sul dolore e sulla forza struggente della vita, Marco Carrera è – come il Pietro Paladini di “Caos Calmo” – un personaggio talmente vivo e palpitante che è destinato a diventare compagno di viaggio nella vita del lettore. E, intorno a Marco Carrera, Veronesi costruisce un mondo intero, una galleria di personaggi, un’architettura romanzesca, che si muove tra i primi anni ’70 e il nostro futuro prossimo – nel quale, proprio grazie allo sforzo del colibrì, splenderà l’Uomo Nuovo.
Una vittoria annunciata
Ritroviamo così Sandro Veronesi, già vincitore dell’edizione del 2006, con Caos calmo, portato al successo dall’omonimo film di Nanni Moretti, con un libro che esalta ancora una volta, insieme a quasi tutti gli altri finalisti del concorso, la mediocrità e la prevedibilità di questa kermesse che pretende di stabilire dei criteri di valutazione intorno ad un oggetto culturale che per sua stessa natura è indecifrabile, nessuno può conoscere con certezza cosa decreti il successo o meno di un prodotto culturale, quale sia l’ingredienti vincente, soprattutto nel breve termine. Però (quasi) tutti vogliono vincere un premio e scrivono il loro romanzo a misura di onorificenza, supportato da qualche editor e frequentando salotto giusti, non di certo familiari a scrittori sconosciuti ai più ma infinitamente più bravi, perché antepongono il linguaggio alla tecnica, la frase che ti rapisce a quella letteratura seriale che ti gratifica e basta, ma non ti scuote, anche perché il lettore medio non vuole essere scosso più di tanto e al contempo sa persino che l’offerta è scadente. C’è bisogno di una letteratura vertiginosa e avvolgente, di scrittori e editori coraggiosi, non nostalgici, perché non si tratta di rimpiangere i vari Pasolini, Flaiano, Morante, Landolfi, Calvino, che ai tempi andati apparivano nella cinquina dei finalisti.
Il problema inoltre è anche nel romanzo, ma in un certo modo di dire ‘romanzo’: che deve apparire risolto in sé, maturo, compiuto, sempre pieno di buoni sentimenti, confortante, che si poggia sulla bontà dei temi, soprattutto se attuali e politicamente corretti. Sarebbe bello poter leggere di storie di una provincia oscura e segreta, del trascendente non in modo sdolcinato o superficiale, di rabbia, anche odio. Il libro di Veronesi parla di come si può sopravvivere al dolore perdendosi in una prosa altalenante, ora piatta ora enfatica per un finale esagerato, preceduto da lunghi elenchi tanto per riempire le pagine e scambio di lettere tra due personaggi che rendono la narrazione stagnante.
Il punto non è volere promuovere a tutti i costi come vorrebbero alcuni scrittori fuori da certi giri patinati, i quali si definiscono anti-borghesi e quindi contro a prescindere al Premio Strega, che vorrebbero romanzi solo di stampo naturalistico, scientifico, materialistico, contando solo sulla forma. Ma la forma e il contenuto dovrebbero coincidere e allora se uno scrittore pensa di scandalizzare e/o svegliare il lettore dal suo torpore, raccontando storie maledette senza via d’uscita con un linguaggio “biochimico”, perché secondo lui, ignorantemente, le scienze, il progresso e la tecnica hanno scalzato ogni residuo di filosofia e religione in cui rifugiarsi, in cui l’uomo stesso è ridotto ad essere una macchina, scagliandosi contro i perbenisti (che non si capisce mai chi sarebbero di preciso) e la Chiesa, dovrebbe sapere non c’è nulla di più borghese che scagliarsi contro categorie e istituzioni che sono state prese di mira in modo anche più intelligente in passato da chi invece possedeva cultura, senza raccontare troppe menzogne in merito al rapporto tra fede e scienza. E poi nella vita reale chi non vorrebbe mai una via d’uscita a meno che non si sia masochisti?! Anche i nichilisti depressi autori di libri altrettanto nichilisti (ma fighi secondo loro), per cui il contenuto non è poi tanto importante.
Insomma c’è chi si sbroda tra gli applausi della giura del Premio Strega, proponendo storie banali, e chi invece, invidiando chi vince lo Strega, ma argomentando a volte a ragione, straparla di abolizione del Premio Strega, perché giustamente un bel libro rimane un bel libro anche se non premiato.
Non si può tralasciare il curioso conflitto di interessi (chiedere agli antiberlusconiani con la bava alla bocca), per cui la casa editrice La Nave di Teseo che ha pubblicato Il colibrì, e della quale è socio lo stesso Sandro Veronesi, ha tra i fondatori Piergaetano Marchetti il quale oggi è Presidente della Fondazione Corriere della sera, il quotidiano su cui sono usciti a oggi circa 50 articoli fra recensioni e segnalazioni del romanzo e che ha recentemente premiato Il colibrì “Libro dell’anno” del supplemento del Corriere della sera “La Lettura”.
Gli altri finalisti
Gli altri partecipanti allo Strega che si sono contesi l’ambito premio sono stati l’ex magistrato Gianrico Carofiglio con La misura del tempo, il quale ha intrapreso con Sandro Veronesi un duello fino alla fine, Valeria Parrella con Almarina, Daniele Mencarelli con Tutto chiede salvezza e Gian Arturo Ferrari con Ragazzo italiano, oltre all’interessante Febbre di Jonathan Bazzi, uscito nel 2019, libro che avrebbe potuto anche vincere per la qualità scrittoria che dimostra l’autore nel raccontare una storia di ricerca e di accettazione di se stessi, un dolore ineffabile, raggiungendo il punto zero dell’esistenza, e soprattutto non scontato a differenza del modo di narrare epidermico di Sandro Veronesi. Qualche parola va spesa anche per Ragazzo italiano, edito dalla Feltrinelli, storia di un figlio del dopoguerra, attraverso le durezze della prima rivoluzione industriale della provincia lombarda, fino al tramonto della civiltà rurale emiliana, e all’esplosione di vita della Milano riformista, il cui autore è anche un editore con un fiuto eccezionale per i libri (Mazzantini, Giordano, Ammaniti, etc..) che ha ceduto alla tentazione di concorrere con un proprio libro; da giudicante a partecipante, con una scrittura da editor impeccabile. Perfetto per il Premio Strega. E con tanto di sgarbo alla Mondadori rivale della Feltrinelli (la quale non partecipava allo Strega da anni), dove Ferrari ha lavorato per una vita. Ma una sua vittoria sarebbe stata troppo smaccata. Tutto come previsto, dunque.