Breaking News
Home / Focus letteratura / 40 anni fa moriva Pasolini, il marxista che amava New York
Pier Paolo Pasolini neorealismo
40 anni fa moriva Pier Paolo Pasolini

40 anni fa moriva Pasolini, il marxista che amava New York

Pierpaolo Pasolini oggi avrebbe 93 anni (nacque nel 1922), venne ucciso all’idroscalo di Ostia, a quanto pare, da un giovanotto, “un ragazzo di vita”, tale Giuseppe Pelosi. Pare, perché questa tragica storia è ancora avvolta nel mistero; ci sono state, secondo molti, tante bugie, depistaggi, occultamento di prove intorno alla pronunciata il 26 aprile del 1979 con la quale la corte di Cassazione ha stabilito in via definitiva che “Pasolini fu ucciso da Pino Pelosi”, Pelosi che ha ritrattato la sua versione, dichiarando che Pasolini è stato ucciso da altre tre persone. I punti interrogativi che ruotano intorno a questa triste vicenda sono tanti e sappiamo che a volte la verità processuale non corrisponde alla verità dei fatti: ad esempio dov’è finito l’appunto ventuno del romanzo di Pasolini, Petrolio? (Un’ipotesi inquietante collega Pasolini alla “lotta di potere” che andava formandosi in quegli anni nel settore petrolchimico, tra Eni e Montedison, tra Enrico Mattei e Eugenio Cefis. Pasolini si interessò al ruolo svolto da Cefis nella politica italiana, facendone uno dei due personaggi “chiave” con Mattei, di questo romanzo-inchiesta nel quale si ipotizza che Cefis avesse avuto un qualche ruolo nello stragismo italiano legato al petrolio e alle trame internazionali). Chi ha rubato le bobine di pellicola del suo ultimo film Salò e le 120 giornate di Sodoma? Probabilmente la sera in cui fu assassinato, tra l’uno e il due novembre del 1975, Pasolini si era recato all’Idroscalo a seguito di una telefonata che lo informava del ritrovamento della pellicola rubata.

Ancora oggi, a 40 anni dalla sua morte, ci si divide di fronte al controverso e discutibile intellettuale (scomodo anche per il suo Partito, il PCI, dal quale fu espulso) sempre attento ai problemi sociali del nostro Paese: c’è chi lo considera un profeta ucciso dalla politica perché sapeva troppo, e chi ritiene che la sua morte, meritata in quanto pedofilo (sarebbe più corretto parlare di efebofilia, in realtà), sia avvenuta in ambito sessuale. C’è a chi fa comodo pensare che Pasolini fosse un deviato, un sadico, un bugiardo dissociato, un comunista psicopatico, sdoganatore dell’universo omosessuale che ha saputo sfruttare lo smarrimento estetico della società bacchettona di quel tempo, costruendo un calderone di luoghi comuni e di banalità, come quello della purezza delle persone analfabete e povere, dell’auspicato ritorno alla vita campestre, delle borgate alla fame, adottando uno stile troppo “povero” e sfibrando la poesia stessa (come se fosse una cosa negativa). Una specie di eletto cui è stato concesso di proporre contenuti forti in un contesto dal richiamo colto (Boccaccio, Chaucer, gli autori de Le mille e una notte), di girare film amatoriali (ma anche la Nouvelle Vague ad esempio metteva al primo posto una certa “amatorialità” tecnica), per sedurre lo spettatore, convinto di trovarsi di fronte ad opere di spessore, in quanto non convenzionali. C’è invece a chi fa comodo cavalcare la teoria del complottismo, della dietrologia, più affascinante, certi che dietro la morte del loro adorato poeta vi siano dei mandanti politici.

Come spesso accade ognuno si sente depositario della verità, emette giudizi di qualsiasi natura senza magari aver letto nulla di Pasolini, senza averlo compreso sino in fondo, pensando che egli sia uno dei tanti prodotti pseudoculturali che la sinistra radical chic ha propinato. Ma Pasolini non è stato uno dei tanti autori erto ad eroe nazionale in quanto uomo di sinistra, sinistra che lo ha spesso strumentalizzato e frainteso. Pasolini è stato un personaggio troppo complesso per poterlo liquidare come “prodotto della sinistra dunque genio indiscutibile e inattaccabile” (ma a differenza di molti suoi amici comunisti Pasolini era contro l’aborto), e non è stato compreso dalla massa. Ha scritto cose che oggi ci appaiono banali, ma per l’epoca in cui ha vissuto non lo erano affatto, si pensi alla poesia Vi odio, cari studenti a seguito degli scontri di Valle Giulia schierandosi dalla parte dei poliziotti, all’intuizione (che però fa parte del Pasolini maturo, non del Pasolini della Trilogia della Vita, che opponeva alla morte dell’anima, il corpo) del paradosso “sessuale” della generazione della metà del secolo scorso e la carica totalitaria della nuova sessualità con la quale il Potere tiene sotto scacco i giovani e li consuma, o ai pensieri sulla classe borghese: <<Ho passato la vita a odiare i vecchi borghesi moralisti, e adesso, precocemente devo odiare anche i loro figli… La borghesia si schiera sulle barricate contro sé stessa, i ‘figli di papà’ si rivoltano contro i ‘papà’. La meta degli studenti non è più la Rivoluzione ma la guerra civile. Sono dei borghesi rimasti tali e quali come i loro padri, hanno un senso legalitario della vita, sono profondamente conformisti. Per noi nati con l’idea della Rivoluzione sarebbe dignitoso rimanere attaccati a questo ideale>>.

Pasolini è stato un uomo fragile, consumato dai suoi mille desideri, dalla sue amarezze e dalle sue contraddizioni, un uomo che alla sua amica Oriana Fallaci diceva che avrebbe voluto avere 18 anni per vivere tutta una vita a New York, città che per lui, marxista indipendente convinto, non rappresentava un’evasione, ma un impegno, una guerra che mette addosso una grande voglia di fare. La letteratura americana non è mai piaciuta a Pasolini (anche se probabilmente gli sarebbero piaciuti Roth, Wallace e Don DeLillo), a differenza del cinema, quello che mostrava un’America violenta e brutale (come la periferia che ha raccontato lui in Ragazzi di vita, Accattone, Mamma Roma, Una vita violenta) che però non era l’America che Pasolini aveva visto, ritrovando al contrario un Paese pragmatico ma idealista dove c’è un grande rispetto per la cultura europea, e dove si scopre la sinistra più bella che un marxista possa, il quale in Italia o in Francia si sente una persona vuota, possa trovare. Ma l’America per Pasolini era anche un Paese misero, non economicamente, ma psicologicamente; una miseria da ex colonia, addirittura da sottoproletariato, secondo Pasolini, poiché vi è in tutti le stigmate della medesima origine sottoproletaria che a colpo d’occhio non si vede ma c’è.

Un uomo davvero vittima di un complotto e a tal proposito risulta emblematica una dichiarazione di Pasolini durante la sua ultima intervista, poche ore prima di morire a proposito delle teorie complottistiche: «Il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità. Che bello se mentre siamo qui a parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori. È facile, è semplice, è la resistenza». Oppure un uomo che è morto come ha rischiato tante volte di morire, conducendo la stessa vita violenta che raccontava nelle sue opere rifiutando dunque l’immagine edulcorata del santo e martire?

L’importante è che non ci sia sempre l’idea dell’attentato di lesa maestà quando si critica con onestà intellettuale Pasolini e magari si afferma che vi sono stati scrittori e poeti italiani del ‘900, e registi più bravi di lui: Pasolini è stato un grande pensatore che ha anticipato i tempi, è stato saggista e linguistica, ha toccato diverse forme di arte, ma senza dubbio il cinema è stata quella in cui è riuscito meno, sopratuttto per quanto riguarda la cura della recitazione e la tecnica, d’altronde è stato lo stesso Pasolini a dichiarare che riprendeva la realtà senza filtri, ma sapeva poco di ottiche e di zoom, senza però dimenticare che Accattone (1961), esordio alla regia dello scrittore, è stata una delle opere più rappresentative degli anni ’60, nonostante lo stile ancora esitante. Pierpaolo Pasolini che è difficile immaginare come un molestatore di minorenni e persona (auto)lesionista, data la sua caratura e il suo ruolo nella società civile, farà sempre discutere ma il suo lascito culturale è prezioso e non può lasciare indifferenti, nel bene e nel male.

 

About Annalina Grasso

Giornalista, social media manager e blogger campana. Laureata in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con L'Identità, exlibris e Sharing TV

Check Also

Le metamorfosi di Kafka

Ricordando Kafka. Il paradosso della corporeità nelle ‘Metamorfosi’

Confrontarsi con un ‘classico’ della letteratura è molto complicato, recensirlo, sarebbe impossibile. De La metamorfosi di Kafka è stato detto moltissimo, tutto forse; tuttavia la densità della narrazione consente di pensare, e ripensarsi, di fronte a temi centrali del panorama culturale contemporaneo, quali: alienazione, principio di autorità, crisi della soggettività. La trama di questo celeberrimo racconto è nota: il commesso viaggiatore Gregor Samsa dopo una notte segnata da sogniinquieti, si risveglia nella propria angusta stanzetta piccolo-borghese tramutato in insetto. Dapprima indotto a considerare tale condizione come fittizia, quasi onirica, e quindi come causata dai ritmi lavorativi o meglio, esistenziali, indotti dalla sua professione commerciale e dal proprio contesto sociale; deve poi prenderne pian piano coscienza in quanto obbligato dalla trasformazione del proprio spazio corporeo e, conseguentemente, della percezione di sé.