Egemone è il ruolo dei personaggi in tutta la letteratura moraviana. Nell’intervento C’è un crisi del romanzo?, pubblicato su “La fiera letteraria” del 1927 e unico articolo firmato dall’autore con il nome di battesimo Alberto Pincherle, lo scrittore avverte come causa prima della crisi del romanzo novecentesco la frattura che si è originata tra narratore e personaggio, tra commento psicologico e azione. L’antidoto, per il romanziere, sta nel restaurare la funzione dell’eroe, affinché possa riacquistare autonomia nel dialogo con gli altri e con il narratore: «tornare indietro vuol dire, in questo caso, andare avanti, lasciando da parte l’inutile zavorra psico-analitica». Moravia, in quanto scrittore esistenzialista e perciò interessato al fatto individuale, interiore e psicologico, intrattiene anche con i propri personaggi un rapporto fondamentalmente esistenziale:
Il mio approccio […] è dunque esistenziale, cioè premorale, prerazionale, presociale: o i fati sociali incidono sull’emotività e la psicologia dell’individuo, e possono essere visti e analizzati in funzione del suo divenire interiore, o non mi interessano; voglio dire non mi interessano come narratore.
Ed proprio in virtù del ruolo fondamentale dei personaggi che risulta utile analizzare tutte le figure che compaiono nelle tre raccolte di racconti al femminile, scritte e pubblicate da Moravia nel corso degli anni Settanta: Il paradiso, Un’altra vita e Boh.
Per caratterizzazione dei personaggi si considera, rifacendoci alle parole di Tomasevskij, quel procedimento che ha come fine il riconoscimento del personaggio, nonché l’insieme di tutti quei motivi che lo compongono, tanto psicologici quanto estetici: «intendendo con ciò il sistema dei motivi indissolubilmente legati ad esso».
Le donne moraviane: una esteriorità a misura della loro psicologia
Le tre raccolte, Il Paradiso, Un’altra vita e Boh, abbracciano un totale di novantacinque racconti, ciascuno caratterizzato da un numeroso sistema di personaggi; perciò, per districarsi con maggiore agilità, in questa sede è stata attuata una suddivisione sistematica, inevitabilmente un po’ rigida ma giustificabile con il fine di rendere il lavoro più chiaro. Tutti i personaggi principali sono figure femminili, donne o ragazze , che parlano in prima persona e attorno alle quali è costruito ogni racconto.
Incessantemente la figura femminile ha incuriosito e interessato Alberto Moravia, tant’è che i personaggi femminili risultano sempre rilevanti e centrali in tutta la sua opera narrativa, a partire da Carla del romanzo d’esordio Gli Indifferenti fino a Nora dell’ultimo romanzo incompiuto, La donna leopardo. Questo interesse dello scrittore verso il genere femminile non solo rimane intatto anche nella sua ultima stagione, dagli anni Settanta in poi, ma sembra anzi essersi rinforzato; basti pensare al romanzo La vita interiore del 1978, costruito come un’immaginaria intervista rilasciata dalla giovane Desideria all’autore. Nei racconti in questione, tutti in prima persona con focalizzazione interna fissa, Moravia lascia la parola, e il timone, alle figure femminili. Per la prima volta tutti i personaggi principali sono solo ed esclusivamente donne: novantacinque storie con novantacinque protagoniste.
Nella triade Il paradiso, Un’altra vita e Boh i personaggi femminili principali sono gli unici a godere di una descrizione a tutto tondo: figure mutevoli che nel corso del racconto evolvono, o per lo meno tentano di evolvere, acquistando progressivamente una maggiore coscienza di sé e della propria situazione. Per lo più la loro caratterizzazione è diretta: sono loro stesse a descriversi, a fornirci un loro dettagliato identikit, tanto estetico quanto psicologico. In altri casi, più rari, la caratterizzazione prende forma da informazioni che il lettore trae dai dialoghi e da allusioni messe in bocca ai coprotagonisti. Tomasevskij, in La costruzione dell’intreccio, si sofferma su un particolare tipo di caratterizzazione «il procedimento delle maschere», metodo molto caro e, come emergerà in seguito, spesso usato da Moravia. Il procedimento delle maschere consiste nell’elaborazione di descrizioni esteriori costruite su misura del carattere psicologico del personaggio. In questa categoria Tomasevskij fa rientrare le descrizioni dell’aspetto estetico, dell’abbigliamento, dell’arredamento delle abitazioni e i nomi propri.
I luoghi comuni “fisici” di Moravia
In gran parte dell’opera di Alberto Moravia, a partire da Gli Indifferenti, i personaggi sono delineati con descrizioni plastiche, attente ai dettagli esteriori. Niente è lasciato all’immaginazione del lettore, niente è solo alluso. Moravia, o i suoi personaggi per lui, ci propongono di continuo ritratti immediati e concreti.
Nella prima raccolta, Il Paradiso, la maggioranza delle protagoniste è snella, slanciata e bella («flessuosa e snella come un serpente», «per me, che sono bruna e slanciata», «sono bella, molto bella», «Sono una donna grande e bella, forse troppo grande, e, in certo senso troppo bella»). Per esempi di altre donne che si presentano come belle e slanciate si rimanda ad altri due racconti del Paradiso: L’orgia e La chimera. In opposizione a queste figure energiche e vitali, compaiono alcune donne dalla corporatura assai magra, quasi scheletrica, come le protagoniste dei racconti I consumi e I prodotti; oppure donne piccole, di bassa statura. Nel racconto L’immaginazione la protagonista ci fornisce subito una sua descrizione, definendosi «piccola, ma con un corpo ben tornito, solido ed energico. Questa sproporzione tra la mia testa e il mio corpo è indicativa. Allude alla analoga sproporzione tra la mia immaginazione e la realtà».
La grottesca disparità tra una testa troppo grossa e un corpo troppo piccolo, come asserisce Fausto Curi in Moravia e la filosofia europea, è un leit-motiv presente in tutta l’opera moraviana, a partire dal romanzo d’esordio Gli Indifferenti.
Superfluo osservare che le “spalle strette” e la “grossa testa” del corpo femminile sono, in Moravia, una sorta di locus communis o di leit-motiv di cui il narratore si giova non per collegare il personaggio di un’opera a quello di un’altra opera, ma per creare un ‘tipo’ di donna, o meglio un corpo femminile paradigmatico, di cui è importante mettere subito in luce le imperfezioni, le ”disparità”, le disarmonie fisiche.
All’interno della raccolta Un’altra vita la maggioranza delle donne ha un corpo giovane, robusto, con gambe slanciate e per lo più dotate di un seno vistoso e preponderante. Alcune di esse presenta la già vista caratteristica di una testa piccola su un corpo grande: «Bisogna sapere che sono grande, robusta, ben fatta e persino formosa; ma con una testolina come di scimmietta». Così si descrive Tilde nel racconto che dà nome alla raccolta, ed è proprio da questa sua «testolina di scimmietta» che le deriva il soprannome di Scimmia.
Un corpo non è mai soltanto un corpo, tanto nella realtà quanto in un’opera letteraria. I corpi umani sono la concretizzazione dell’esistenza umana e perciò portatori di significati che oltrepassano l’immediata sfera anatomica, affermandosi come costrutti simbolici.
La concrezione umana in carne e ossa non è pensabile, non è percepibile al di fuori di modalità di pensiero e percezione culturali e culturalmente condizionate. Tutto ciò che sappiamo sul corpo esiste per noi in una qualche specie di discorso esplicito o implicito.
Erotismo e sessualizzazione della letteratura come strumento conoscitivo della realtà
La tematica erotico-sessuale ha lontana origine e lunga vita nella letteratura europea, a iniziare dai classici greci e latini. In particolare nel Novecento si è assistito a una progressiva accettazione di tale argomento in primis in campo scientifico, grazie alla psicoanalisi e alle ricerche di Freud – disciplina e autore centrali nella formazione di Alberto Moravia – che hanno esteso la nozione di sessualità ben oltre i limiti della tradizione.
Addentrandosi nel ventesimo secolo, con l’eredità freudiana appena alle spalle e i sempre più radicati presupposti di un’imminente rivoluzione e liberalizzazione sessuale, tra gli anni Sessanta e Ottanta, la dimensione erotica diviene centrale non solo a livello sociale e culturale, ma inizia a trovare spazio e attenzione anche sul piano narrativo.
Nell’Introduzione a Verba tremula, Catelli, Iacoli e Rinoldi considerano, da un punto di vista stilistico-letterario, il Novecento come un secolo portatore di aperture e novità, «che irrompe nella storia delle forme erotiche con il suo carico di rappresentazioni esplicite e controverse». Si aprono così nuove possibilità di ampliamento del poetabile, con la proliferazione di immagini erotiche in svariate opere. Anche Pasolini, nell’intervento Tetis contenuto in Erotismo, versione, merce del 1973, si interroga su quali siano i confini del rappresentabile, in particolare in ambito erotico, dopo aver rappresentato nelle sue opere gesti e atti sessuali fino al dettaglio: «in un momento di profonda crisi culturale (gli ultimi anni Sessanta) […] mi è sembrato che la sola realtà preservata fosse quella del corpo. […] Era in tale realtà fisica – il proprio corpo – che l’uomo viveva la propria cultura», laddove «il simbolo della realtà corporea è il corpo nudo: e, in modo ancora più sintetico, il sesso». Ma questa non è la sola motivazione che Pasolini adduce. Aggiunge inoltre che, se è stato spinto a rendere il sesso protagonista della sua intera produzione tanto letteraria quanto cinematografica, ciò è dipeso da una parte per la sempre maggiore importanza che esso ricopre nella vita quotidiana.
L’erotismo come argomento fondante dei romanzi di Moravia
Anche Marco Antonio Bazzocchi nell’Introduzione a Il codice del corpo, sulla base di alcuni testi scelti di autori del panorama letterario italiano novecentesco, si interroga se sia possibile un legame tra sessualità e letteratura e se concetti e immagini sessuali possano essere usati per interpretare una struttura linguistica complessa. Diverse sono le domande di partenza che si pone il critico: «perché la sessualità, e in generale il tema della rappresentazione corporea, possono diventare utili nell’analisi dei testi letterari?»; oppure «possiamo ricondurre al corpo e in particolare alla sessualità un discorso intorno alla “verità” su cui si impostano le strutture retoriche del testo?»; e ancora «può un meccanismo retorico essere indagato sulla base di un dato sessuale? È lecito “sessualizzare” la letteratura?». L’obiettivo di Bazzocchi è quello di rileggere i testi selezionati in base a questa nuova prospettiva, tenendo conto delle pratiche discorsive di diversa origine che si generano alla luce dell’inedito rapporto tra corpo, sessualità e verità che si insinua nel discorso letterario.
«Tu hai descritto molti personaggi erotici, anzi l’erotismo nella tua scrittura, che alcuni hanno definito invece pornografia, è l’elemento principale dei tuoi romanzi, da cui scaturiscono le storie, l’intreccio». Così Dina D’Isa classifica l’erotismo come l’argomento fondante di tutti i romanzi di Alberto Moravia. La tematica sessuale ricopre un ruolo centrale in tutta la produzione moraviana: sesso, potere, famiglia e danaro sono i fili conduttori di tutte le sue opere. In Alberto Moravia e la filosofia europea Fausto Curi giustifica la presenza della tematica erotica nei testi dell’autore romano come radicata e propria della nuova visione del mondo di cui gli stessi libri si fanno promotori:
occorre infatti guardarsi dal credere che il corpo e il sesso, così presenti e rilevanti, siano solo il prodotto di una vocazione personale (qualcuno forse direbbe “ossessiva”), quando invece costituiscono gli elementi portanti di una visione del mondo.
Moravia considera il sesso come argomento di giusta pertinenza di uno scrittore nel momento in cui egli affronta tale tematica senza alcun tabù. L’autore attribuisce un valore cognitivo e ermeneutico all’erotismo – valore spesso ribadito in svariate dichiarazioni – che si configura come uno dei tanti strumenti umani di conoscenza del reale, in virtù della sua matrice sia naturale che culturale: «l’erotismo è un elemento indispensabile, di qualsiasi operazione conoscitiva». Nella scrittura esistono diverse chiavi per aprire le porte del reale e Moravia ha scelto quelle della sessualità, un mezzo per conoscere il mondo, l’altro e se stessi: «il rapporto sessuale diventa l’unico, disperato appiglio con la realtà: l’unica corda che lanciata in tempo, salvi dall’incomunicabilità e dalla estraneità».
È questo, secondo Fausto Curi, il valore che acquista il sesso per il personaggio di Cecilia in La Noia: per Cecilia l’attività sessuale costituisce il solo momento in cui diventa consapevole di sé e del mondo. Cecilia conosce concretamente la realtà attraverso il sesso, e solo attraverso il sesso. Il sesso, per Cecilia, […] è soprattutto conoscenza. […] Diventa veramente partecipe della vita.
La ragazza, impermeabile al mondo esterno perché invasa dalla noia, da un’indifferenza esistenziale, riesce a costruire un rapporto con la realtà, a rinnovare la conoscenza delle cose esterne solamente attraverso nuovi coiti.
Moravia reputa la libertà di affrontare l’argomento erotico-sessuale una conquista dell’epoca moderna, il risultato di un processo di liberazione da divieti e tabù secolari. Nella Prefazione a La storia dell’occhio di Bataille Moravia si sofferma sul rapporto tra cultura e erotismo, dove quest’ultimo, inizialmente inconscio, viene riconosciuto e riscoperto dal crescente sviluppo della cultura, la cui fine coincide proprio con la totale scoperta e il pieno riconoscimento dell’erotismo:
in fondo dunque, la forma di conoscenza propria dell’erotismo riguarda unicamente l’erotismo. […] Così le culture nascono dalla soppressione, ignoranza e incoscienza del fatto erotico; e si sviluppano e muoiono secondo il progresso di una scoperta che è contemporaneamente distruzione.
Il sesso dunque diviene narrativamente interessante per l’autore romano nel momento in cui diventa insignificante, nel senso letterario del termine, cioè nel momento in cui risulta privato di tutti quei significati aggiunti e traslati imposti dalla società nel corso della storia.
Un giudizio di stile nel trattamento dell’argomento sessuale viene dato anche da Guido Anselmi in Il fallo parlante e altre voci in riferimento al romanzo Io e lui. Nella critica di Anselmi è rimarcato il carattere analitico e impersonale della scrittura dell’autore romano. Il critico sottolinea la necessità, mancata, di dare al fallo moraviano un linguaggio particolare, che lo detonasse e lo distinguesse da tutti gli altri personaggi. Anselmi lamenta «il solito linguaggio omogeneizzato e indifferenziato», una «lingua franca tecnologica e problematica, ugualmente condivisa dal campionario di personaggi dello scrittore», e ancora «lingua sterilizzata e totalmente significante, intollerabilmente informativa». Questo linguaggio, secondo il critico, risulta banale e fuori luogo messo in bocca a un personaggio grottesco come un fallo parlante, meritevole di un linguaggio di gran lunga più originale.