Confrontarsi con un ‘classico’ della letteratura è molto complicato, recensirlo, sarebbe impossibile. De La metamorfosi di Kafka è stato detto moltissimo, tutto forse; tuttavia la densità della narrazione consente di pensare, e ripensarsi, di fronte a temi centrali del panorama culturale contemporaneo, quali: alienazione, principio di autorità, crisi della soggettività.
La trama di questo celeberrimo racconto è nota: il commesso viaggiatore Gregor Samsa dopo una notte segnata da sogni inquieti, si risveglia nella propria angusta stanzetta piccolo-borghese tramutato in insetto. Dapprima indotto a considerare tale condizione
come fittizia, quasi onirica, e quindi come causata dai ritmi lavorativi o meglio, esistenziali, indotti dalla sua professione commerciale e dal proprio contesto sociale; deve poi prenderne pian piano coscienza in quanto obbligato dalla trasformazione del proprio spazio corporeo e, conseguentemente, della percezione di sé.
Da questo momento in poi, la metamorfosi sarà definita, nelle sue tappe fondamentali, dalle figure familiari del padre, della madre e della sorella, tanto care allo scrittore e indicative della forte carica autobiografica del racconto. Partendo dall’arrovellarsi dei pensieri del protagonista circa la sua condizione, non più prettamente umana, all’interno delle quattro mura della stanza, la narrazione si articola seguendo da un lato la modificazione della percezione di sé come percipiente; dall’altro lato considerando la differente percezione che gli altri individui (in particolare quelli del medesimo nucleo familiare) hanno del protagonista.
La mancata presenza sul luogo di lavoro, con la conseguente visita del procuratore, segnerà l’inizio della rescissione del legame sociale; di fronte alle richieste di spiegazioni da parte del superiore, Gregor, seppur nella totale preoccupazione verso il proprio futuro lavorativo, risponderà esplicitando tutte le sue motivazioni in una articolazione linguistica che agli altri suonerà come priva di senso e simile alla ‘voce’ di un animale.
In questo primo stadio del racconto, da una parte il protagonista è ancora coscienzialmente preso dalle proprie preoccupazioni umane (mantenere il posto di lavoro e quindi esaurire il debito della propria famiglia). Dall’altra parte, a fronte del riconoscimento della propria bestialità da parte dei familiari e del procuratore, prende avvio il processo di individuazione determinante il realizzarsi della consapevolezza circa la propria animalità, processo articolato attraverso i ruoli svolti dai personaggi familiari: padre (principio di autorità, tipico della famiglia patriarcale borghese), sorella (complicità quasi incestuosa), madre (figura di legame inscindibile con la propria umanità).
La metafora dell’insetto esibisce sicuramente l’atto di dissidenza di un giovane nei confronti dell’autorità paterna, e mostra chiaramente l’anelito di Gregor verso il compimento della propria individualità al di fuori degli obblighi sociali – dissidenza tuttavia votata allo scacco e segnata dalla morte ultima cui porta la metamorfosi del protagonista: un finale tragico che esprime l’idea della morte intesa come unico risultato possibile per l’azione svolta da un personaggio che porta in sé la colpa di cedere all’illusione di una possibile realizzazione dell’ipseità al di fuori del vincolo familiare. Al di là di ogni personale interpretazione non si
può negare la messa in evidenza della necessità del vincolo biologico, fra il sé e la famiglia (con tutte le sue relazioni), ma anche fra l’io e la propria sfera corporea. Superando le appropriate e assodate analisi psicoanalitiche de La metamorfosi, propongo di considerare il ruolo paradigmatico della corporeità all’interno di questo ‘classico’.
Nello svolgersi dei tre paragrafi che costituiscono il racconto, la corporeità funge da tessuto connettore; specifica, la complessità della situazione del personaggio principale, approfondendone il rapporto con il legame biologico, fondamentale per Kafka stesso. La metamorfosi corporea giunge a localizzare, nel percorso narrativo del racconto, la mutazione coscienziale del protagonista, e conseguentemente a porre chiaramente la propria funzione di ambivalenza.
Il proprio corpo esprime da un lato la materializzazione del principio di individuazione attraverso la costituzione di una propria dimensione spazio temporale; dall’altro lato rimarca la necessità della prospettiva di un alter ego che conduca all’estremo il processo del riconoscimento della non umanità del protagonista. Si può quindi affermare che la metamorfosi procede negativamente nella misura in cui le figure familiari definiscono Gregor per via negativa, giudicandolo via via come in difetto circa quelle che comunemente vengono considerate essere le proprietà normali di un essere umano.
Tuttavia essa viene a svolgersi anche in maniera positiva, poiché il personaggio, poggiante su una relazione negativa con il contesto familiare, spinge all’estremo la propria ipseità animale in una progressiva presa di coscienza circa la propria nuova corporeità. Il ritmo metamorfico è scandito lungo i tre paragrafi del racconto e implica una dialettica costante fra l’istanza negativa e quella positiva.
Come poteva dunque essere proprio una bestia se la musica lo afferrava a tal punto? Gli pareva che gli si mostrasse la via verso il nutrimento ignoto che egli agognava.
Gregor è il proprio corpo, o meglio, diviene insetto grazie al suo corpo: esso specifica l’individualità del protagonista nella propria animalità, conducendolo però al paradosso secondo il quale, nel momento di maggior distanza dalla condizione umanamente sociale,
trova una morte sancita dal suo essere irrimediabilmente troppo umano.
A fronte di ciò, non sarebbe opportuno vedere il processo metamorfico del protagonista come progressivo più che regressivo? Intendendolo dunque come processo costitutivamente positivo e catartico, più che negativo e dispiegato verso la totale alienazione? Al di là di ogni suggerimento, è bene lasciare l’interpretazione di questo racconto alla discrezione di ogni singolo lettore, tuttavia in un periodo storico come il nostro, in cui le ansie ‘estetiche’ di perfettibilità corporeo-ambientali – ma si potrebbe azzardare, sociali – strutturano una concezione di bello ossessivamente iper-reale tale da rilegarlo quasi totalmente nel virtuale e da condurlo alla soglia di una bruttezza malsana; leggere fra le righe di un classico come questo diviene intellettualmente significativo.
Kafka riesce, attraverso il coraggio della sua narrazione, a rendere attuale la necessità di cogliersi responsabili in prima persona della mostruosità umana tout court. Sapendo che in fin dei conti e nonostante i rischi, almeno l’onestà verso sé stessi è un atto pregnante che non dimentica la riconoscenza verso la bellezza del reale.