Breaking News
Home / Focus letteratura / Vittorio Sereni e una scena virgiliana: la nullità del ricordo
Vittorio Sereni

Vittorio Sereni e una scena virgiliana: la nullità del ricordo

Partiamo, per giungere poi a Vittorio Sereni, dai versi 300-316 del III libro dell’Eneide:

Progredior portu classes et litora linquens, 
sollemnis cum forte dapes et tristia dona
ante urbem in luco falsi Simoëntis ad undam
libabat cineri Andromache Manisque vocabat
Hectoreum ad tumulum, viridi quem caespite inanem
et geminas, causam lacrimis, sacraverat aras. 
Ut me conspexit venientem et Troa circum
arma amens vidit, magnis exterrita monstris,
deriguit visu in medio, calor ossa reliquit,
labitur et longo vix tandem tempore fatur:
Verane te facies, verus mihi nuntius adfers, 
nate dea? Vivisne? Aut, si lux alma recessit,
Hector ubi est? Dixit lacrimasque effudit et omnem
implevit clamore locum. Vix pauca furenti
subicio et raris turbatus vocibus hisco:
Vivo equidem vitamque extrema per omnia duco; 
ne dubita, nam vera vides.

Nelle parole rivolte ai versi 310-312 da Andromaca ad Enea improvvisamente apparsole si avverte da un lato l’eco e per così dire la dissolvenza di quelle rivolte dall’eroe all’ombra di Ettore apparsagli nottetempo. Dall’altro nella seconda ipotesi affacciata da Andromaca («si lux alma recessit», v.311) vediamo forse allusa la discesa tra le ombre che di lì a poco sarà profetizzata da Eleno e si attuerà nel l. VI, secondo un dinamismo di proiezioni, rifrazioni e sviluppi interni al poema

Certo il Vittorio Sereni allievo negli anni universitari del latinista Luigi Castiglioni (studioso in particolare di Virgilio) conosceva l’attenzione rivolta dal suo maestro proprio  al libro III dell’Eneide; ma, lettore appassionato di Montaigne, poteva inoltre trovare i versi 306-309 interni al brano da noi citato quasi ad apertura degli Essays, libro I capitolo II, come esempio dello stupore che segue «la sorpresa d’un piacere insperato» (citiamo dalla traduzione del 1966 di Fausta Garavini). E delle parole di Andromaca, come della breve definizione di Montaigne, avvertiamo un’eco possibile in un luogo della poesia di Sereni, per la quale in generale abbiamo tentato altrove di ricostruire l’importanza, sia per estensione che per profondità, delle presenze virgiliane. Sono i tre versi finali di un passaggio risalente al 1960 dalla sezione Appuntamento a ora insolita degli Strumenti umani: «Sono già morto e qui torno? / O sono il solo vivo nella vivida e ferma / nullità di un ricordo?». Il riferimento a Montaigne parrà ancora meno casuale, ove ricordiamo quanto scriveva Gilberto Lonardi sulla consonanza che Sereni poteva trovare nel grande francese rispetto l’idea del vuoto ontologico «non come un luogo da cui fuggire verso una pienezza che è radicalmente altra […] ma una meta del possesso di sé, nel passaggio», idea che pare del tutto coerente con il contesto della breve poesia degli Strumenti umani. In un breve, estemporaneo ritorno sul proprio luogo di vacanza estiva, Bocca di Magra, l’io del poeta attraversa registrandoli gli aspetti di una natura viva e lucente.

Ma è una natura innaturalmente vivida: forse perché – prima ipotesi – già trasformatasi in un’oltre-realtà, in un aldilà luminoso e stranamente familiare agli occhi di chi, lasciatasi alle spalle la vera vita, compie un impossibile ritorno nella lampeggiante e incerta consapevolezza della propria morte; o perché splendida, avvolgente illusione del ricordo di chi è vivo ma in qualità di sopravvissuto ad un proprio passato, e quindi non realtà ma vuoto, realtà sparita. Nel primo caso, un’ulteriore domanda rimane implicita: il «qui» a cui il defunto ’ritorna’ è un eliso modellato secondo il suo passato o un reale presente da cui ormai lo separa, giunto egli oltre le rive della morte e
voltosi, quello che in Niccolò verrà chiamato «lo sbiancante diaframma»?

Qui Sereni ripropone dunque l’idea della propria morte già oniricamente vissuta nelle Sei del mattino (1957), nella sezione precedente, dove però l’io poetico narra, al passato, di aver trovato se stesso morto nella propria casa, implicando così uno scindersi e duplicarsi dell’io corporeo, mentre ora, in uno scenario esterno e naturale evocato sostanzialmente al presente, il soggetto si interroga sul proprio statuto, ma permanendo una la persona (Agosti, nel 1984, parlò di «compresenza dell’uno e dell’altro stato» e di «indecidibilità», comprensibile
all’interno di una poesia onirica come quella di Sereni, che si esprime come «il sonno, e il sogno, del morto»

Per questo sarà da considerare anche il Sabato tedesco, testo posteriore di un ventennio, quando nella catabasi in un luogo della Francoforte notturna «facce dimenticate ti colgono di sorpresa», al punto da far supporre «che si tratti di gente morta da un pezzo, […] e invece, chissà […] sei tu il morto e sepolto» (a differenza dell’immediatezza della prima persona di Di passaggio, l’agens e io narrante del racconto parla rivolgendosi a sé in seconda persona; inoltre, nel Sabato tedesco è, in una prima ipotesi, «gente morta» a circondare l’io vivo, mentre nell’ipotesi che a questa corrisponde nel testo degli Strumenti umani ad avvolgerlo come l’aria stessa è, sinteticamente e globalmente,
la «nullità di un ricordo).

Di passaggio esce dunque su rivista con Un incubo, l’incubo della gioia di due amanti uditi nottetempo che genera strazio nel poeta (evidenziamo più che citare i due termini, così connotati nel sistema-Sereni, che si ritroveranno qualche testo più oltre nel chiudersi della medesima sezione degli Strumenti umani, nella gioia di Appuntamento ad ora insolita che «si porta come una ferita», come la volpe rubata  dal ragazzino spartano della Vita di Licurgo di Plutarco e che «il fianco gli straziava»), e con Quei bambini che giocano, dove – a contrastare l’eros notturno, invidiato e appagato del testo precedente – si parla dell’«amore bugiardo» di una donna, che è come un falso e in realtà melmoso paesaggio idillico e come «l’emorragia dei giorni» della vita sprecati in false direzioni. Come, cioè, sangue versato invano, e
paesaggio che non è ciò che sembra.

 

Fonte: https://www.academia.edu/20705785/_Il_vivo_e_il_morto_nella_nullità_del_ricordo._Sereni_e_una_scena_virgiliana_in_Il_dono_delle_parole._Studi_e_scritti_vari_offerti_dagli_allievi_a_Gilberto_Lonardi_Gabrielli_Editori_Verona_2013

About Annalina Grasso

Giornalista, social media manager e blogger campana. Laureata in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con L'Identità, exlibris e Sharing TV

Check Also

Le metamorfosi di Kafka

Ricordando Kafka. Il paradosso della corporeità nelle ‘Metamorfosi’

Confrontarsi con un ‘classico’ della letteratura è molto complicato, recensirlo, sarebbe impossibile. De La metamorfosi di Kafka è stato detto moltissimo, tutto forse; tuttavia la densità della narrazione consente di pensare, e ripensarsi, di fronte a temi centrali del panorama culturale contemporaneo, quali: alienazione, principio di autorità, crisi della soggettività. La trama di questo celeberrimo racconto è nota: il commesso viaggiatore Gregor Samsa dopo una notte segnata da sogniinquieti, si risveglia nella propria angusta stanzetta piccolo-borghese tramutato in insetto. Dapprima indotto a considerare tale condizione come fittizia, quasi onirica, e quindi come causata dai ritmi lavorativi o meglio, esistenziali, indotti dalla sua professione commerciale e dal proprio contesto sociale; deve poi prenderne pian piano coscienza in quanto obbligato dalla trasformazione del proprio spazio corporeo e, conseguentemente, della percezione di sé.