Roberto Vandelli, classe 1964. Professione sulla carta d’identità: attore. Dopo la maturità artistica, si diploma in Dizione all’Accademia dei Filodrammatici di Milano. Vandelli entra a far parte della Compagnia del Teatro Gerolamo di Milano diretta da Umberto Simonetta come assistente alla regia, partecipa agli spettacoli Ah, se fossi normale e Serata a teatro.
Sin dall’inizio della sua carriera, Roberto Vandelli, si è dimostrato un artista poliedrico: dal palco dei teatri ai set cinematografici, agli spot pubblicitari fino alla radio. Il suo curriculum teatrale infatti è molto corposo: Vandelli ha recitato nei drammi shakespeariani Riccardo III, Amleto, La Tempesta, Pericle principe di Tiro, Tommaso Moro ma anche in opere di Carlo Goldoni, Luigi Pirandello e Dino Buzzati. In televisione ha preso parte a varie fiction, tra cui: Don Matteo 7, Casa Vianello, Vivere e la sit-com Camera Cafè. (Per il suo curriculum completo http://(https://www.teatroscientifico.com/chi-siamo/c-v/roberto-vandelli/) )
Per il cinema nel 2014 ha interpretato anche un fotografo nel docufilm Fango e gloria-La Grande guerra presentato alla Mostra del cinema di Venezia. Numerosi sono anche gli spot pubblicitari di noti marchi che lo hanno visto protagonista. Nel fare la spola tra teatro e cinema, Roberto Vandelli è riuscito a fare anche il docente, tenendo corsi di Teatro all’Accademia Regionale Veneta, di mimo alla scuola per audiolesi di Brescia, corsi di specializzazione per attori in acrobatica alla Scuola di Mimo del Teatro/Laboratorio e corsi di recitazione in vari Istituti Scolastici Superiori. In più, ha portato il teatro all’interno delle carceri come attività per il recupero dei detenuti.
Quando ha capito di voler fare l’attore e chi sono stati i suoi maestri?
Ho iniziato a frequentare l’ambiente del teatro molto presto, soprattutto non venendo da una famiglia di artisti. Il primo approccio è stato all’Oratorio San Carlo di Milano, un classico, facevamo un Musical scritto e diretto da una ragazza (Anna Garaffa) molto brava e molto giovane come del resto tutti noi che componevamo il gruppo. È così che è nata la voglia di fare teatro. In quello stesso periodo mi presentai ad un’audizione al Teatro Gerolamo di Milano, allora diretto da Umberto Simonetta che sicuramente posso considerare il mio primo maestro, scrittore, giornalista, autore anche di canzoni, il famoso “Cerutti Gino” cantata da Giorgio Gaber per citarne una. Mi presento come suggeritore, avevo 16 anni. Al Teatro Gerolamo chiamato la bomboniera per bellezza e dimensioni ridotte, ho visto nascere spettacoli come “Mi voleva Strehler” con Maurizio Micheli, “Ah, se fossi normale” con Riccardo Peroni. Es è stato proprio in quegli anni, i primissimi anni ’80 che decisi quella che sarebbe stata la mia professione. Finita l’esperienza al Gerolamo che venne chiuso nel 1983 (per riaprire solo in questi ultimi anni) feci l’esame di ammissione all’Accademia dei Filodrammatici di Milano deciso a intraprendere la professione che faccio tuttora.
È un artista molto poliedrico, la sua carriera è costellata di ruoli in teatro, cinema, tv, radio e spot pubblicitari. Cosa riesce a trarre da questi mondi così diversi?
Innanzitutto, mi diverte cambiare, fare cose diverse, ogni esperienza è un arricchimento per chi fa questo lavoro. Credo che un attore per definirsi tale debba essere duttile, poliedrico, naturalmente poi ci sono “generi” dove si è più portati e altri meno. Ricordo che durante la tournée del “Riccardo III” io e Massimo Ranieri ci prendevamo in giro perché io facevo la pubblicità di un box doccia e lui di un supermercato, ma alle 21,00 in scena con Shakespeare…
Si è prestato alla formazione didattica volontaria per il recupero sociale di detenuti. Qual è stato il loro approccio. Cosa, invece, si è portato a casa lei da questa esperienza?
Con i detenuti ho lavorato sia al Carcere di massima sicurezza di Opera (Mi) che al circondariale di Montorio (Vr). Ricordo un episodio curioso, un mio allievo di Opera me lo sono ritrovato dopo che era evaso, a Montorio… Lavorare con i detenuti è stata una gran bella esperienza. Storie disperate ma anche tanto entusiasmo, curiosità e umiltà verso un mondo, quello del teatro che per la maggior parte non conoscevano. Ma anche il diverso approccio da parte di chi, come ad Opera, ha l’ergastolo o pene comunque lunghe e chi come nei circondariali, meno.
È anche docente di recitazione, tiene corsi di teatro e di mimo. Qual è l’insegnamento più prezioso che regala ai suoi allievi?
Mi è capitato in diverse occasioni di tenere corsi o seminari. Quando il seminario è indirizzato a giovani che desiderano fare questo mestiere, cerco di renderli consapevoli di che cosa significa realmente farlo. Per dire di saper guidare bene una macchina non basta saper cambiare le marce… È un mestiere fatto di grandi soddisfazioni ma non solo, ci sono anche sacrifici, studio, privazioni, delusioni. Ci vuole determinazione e consapevolezza, oltre alle qualità artistiche naturalmente…
Ha portato in scena testi di autori del calibro di Shakespeare, Pirandello, Gadda, Goldoni e Buzzati quale di questi gli è rimasto nel cuore e perché?
A Gadda sono legato perché è stato il primo spettacolo che ho fatto al Franco Parenti di Milano, fino a qualche tempo prima frequentato da spettatore e adesso a calpestarne le gloriose tavole! Ecco una delle soddisfazioni di cui sopra… Facevamo Gadda appunto, “l’Adalgisa” per la regia di Umberto Simonetta e protagonista la grande Rosalina Neri. Poi naturalmente sono legato a Simonetta, alcuni suoi testi sono geniali e per finire, Luigi Lunari, ero legato da un’amicizia nata durante la messa in scena di “Tre sull’altalena” di cui avevo curato anche la regia per il Teatro Stabile di Verona. E più recentemente “Rosso Profondo” prodotto dal Teatro Scientifico di Verona. Testo ispirato a Craxi suo compagno di scuola, ma per gli argomenti che tratta, ancora attualissimo. Incrociando le dita ho diverse date per la prossima stagione.
Durante il lockdown ha partecipato alla rassegna Sorprese dalla finestra. Quanto è stato importante esibirsi in un periodo storico in cui i teatri sono chiusi. Che rispondenza c’è stata da parte degli spettatori?
La rassegna Sorprese alla finestra ideata da Isabella Caserta, mia moglie e direttrice artistica del teatro scientifico/laboratorio di Verona, è stata una breve parentesi felice in questo terribile anno, terribile per tutti ma per alcune categorie di più. Ci siamo esibiti proprio da una finestra del teatro e la risposta del pubblico, grazie anche al bel tempo che ci ha sostenuto, è stata molto positiva, per numero ed entusiasmo.
In particolare, in quella occasione ha recitato un monologo sul mestiere dell’attore. Cos’è per lei essere un attore?
Questa domanda apparentemente semplice in realtà è la più difficile. Parto con la risposta standard, con voce impostata: “non avrei potuto fare altro nella vita…”. Per me è un mezzo per poter raccontare delle storie, per commuovere, divertire, far pensare… È il mestiere che amo e che ho la fortuna di fare.
Cosa ne pensa della chiusura prolungata dei teatri e cosa significa per un attore non potersi esibire?
La chiusura è molto dura e non basterà fare riaprire senza tenere conto di progettualità, programmazione, organizzazione. Grandi sono state e sono le difficoltà di tutti gli scritturati, artisti, tecnici, maestranze varie, ma anche per gli imprenditori del settore, produttori o gestori di spazi teatrali privati. Vedremo anche come gestiranno le prossime riaperture con il coprifuoco alle 22, 00.. Purtroppo, come ha scritto Ascanio Celestini il teatro produce più cultura che denaro. Questo è il punto…
Siamo un magazine che si occupa anche di letteratura. C’è uno scrittore che ama particolarmente o qualche libro che spesso ritorna a sfogliare?
Umberto Simonetta, i suoi romanzi, Tirar mattina, Lo sbarbato che raccontano di una Milano di periferia, che non è più così, con l’utilizzo di un linguaggio “parlato” li amo molto. Sono molto legato a Milano, la città dove sono nato e cresciuto. Mi piacciono molto anche i romanzi, per questo un altro libro al quale sono legato e che ho scoperto perché il protagonista della storia si chiama come me, Roberto Vandelli, è: Milano criminale di Paolo Roversi, ambientato nella Milano del boom economico degli anni 60/70, ma grigia di fumo e rossa di sangue.
Guardando al futuro… Quali sono i suoi progetti o sogni da realizzare?
Il progetto più imminente è uno spettacolo provato nel dicembre 2020, in piena pandemia, voluto fortemente da PPTV, una realtà che raccoglie diverse forze produttive private venete con la collaborazione del Teatro Stabile del Veneto. Dopo vari rimandi dovuti al coronavirus, finalmente saremo in scena al Teatro Romano di Verona il 24 agosto e in tournée la prossima stagione. Lo spettacolo è: “Il Teatro comico” di Carlo Goldoni per la regia di Eugenio Allegri e 9 attori in scena con protagonista Giulio Scarpati. Insomma, i progetti non mancano, la voglia anche, le vaccinazioni proseguono e la speranza è di tornare presto in scena per restarci. C’è bisogno di teatro in tutte le sue espressioni! Ci vediamo in scena!