In occasione della morte di Glenn Frey, membro fondatore degli Eagles, avvenuta il 18 gennaio scorso, è doveroso ricordarlo e omaggiarlo proponendo uno degli album più famosi della band cui apparteneva. In questo senso Hotel California sarebbe senz’altro la scelta più semplice, dal momento che si tratta del vero blockbuster del gruppo, il disco della gloria imperitura, ma proprio per questo sarebbe anche la scelta più banale. Bisogna ricordare il vero merito degli Eagles, ossia quello di aver sdoganato definitivamente il country presso il grande pubblico portandolo in cima alle classifiche di tutto il mondo, codificando, una volta per tutte, quello stile che sarà famoso col nome di country-rock. Già altre band avevano tentato un esperimento simile, come i Flying Burrito Brothers, i Byrds, ma solo Frey e soci hanno saputo trovare l’alchimia giusta per far si che la musica tradizionale americana acquisisse milioni di fan trasformandosi in fenomeno di costume. Proprio tenendo conto di queste premesse, la scelta si è orientata su Desperado, concept album del 1973, dedicato alla vita dei fuorilegge del vecchio West, i desperados appunto, sempre in bilico fra distruzione e leggenda. Figura chiave su cui poggia tutta la costruzione tematico/musicale, è la gang dei Doolin’ Dalton, banda criminale attiva negli Stati Uniti alla fine dell’800. Si tratta di un lavoro crepuscolare, malinconico, dolente che riflette perfettamente il dramma umano dei banditi americani costretti, molto spesso da una situazione miserevole, ad una vita al limite.
“La cosa bella è che, anche se si tratta di un insieme unificato di canzoni, non è un’opera rock, un concept album, o qualsiasi altra cosa che pretenda di essere molto più di un insieme di buone canzoni che stanno bene insieme”. (Paul Gambaccini- Rolling Stone-1973)
Questa citazione aiuta a capire quanta fluidità e coerenza ci sia tra i brani in scaletta sia dal punto di vista stilistico che tematico. Il suono è ancora sospeso; non è propriamente country ma è ancora lontano dalle divagazioni rock e pop degli album successivi. Con la primigenia formazione a quattro, gli Eagles danno il loro meglio, producendo meravigliose armonie vocali e memorabili interpretazioni che danno vita a canzoni di grande impatto emotivo. Non mancano, ovviamente i successi spacca classifiche, come la stupenda title track affidata al timbro roco di Don Henley, oppure l’arcinota Tequila Sunrise, cantata proprio da Frey, che ipnotizza col suo incedere rilassato.
Un album complesso
Non bisogna dimenticare però l’epica bellezza di Doolin Dalton, gunfighter ballad caratterizzata da una lamentosa armonica che soffia lungo tutta la melodia; la tambureggiante Twenty-One col banjo di Bernie Leadon in grande evidenza; il ritmo infuocato di Out Of Control, il cantato altissimo del bassista Randy Meisner in Certain Kind Of Fool, la durezza di Outlaw Man, la tenerezza di Saturday Night, l’allucinata e psichedelica Bitter Creek, che segnano le tappe di un incredibile viaggio musicale nel West più selvaggio e pericoloso. Le atmosfere sono perfette, i testi estremamente evocativi, la perizia tecnica della band stupefacente. Frey, Henley, Leadon e Meisner fondono gli strumenti della tradizione (il mandolino, il banjo e l’armonica) con quelli tipici del rock (chitarra elettrica, piano, organo e batteria) dando vita ad una miscela veramente esplosiva ed innovativa. La grande ispirazione compositiva gli ha permesso, inoltre, di affrontare con classe temi difficili quali, il crimine, la violenza, la vita al di fuori della legge, evitando di cadere nella celebrazione o nell’apologia. Il risultato è dunque un album complesso ma estremamente efficace e gradevole, ben suonato e arrangiato, che merita, senza dubbio, un posto d’onore nell’intera produzione musicale degli anni ’70. I successi planetari sono dietro l’angolo per gli Eagles, che attraverseranno quarant’anni di musica mantenendo pressoché inalterato il loro richiamo ed il loro fascino e continueranno a riempire gli stadi, nonostante polemiche, scioglimenti, cambi di formazione e riappacificazioni. La loro turbolenta parabola fa parte del mito, come i continui litigi e le hit immortali, ma quest’album ci restituisce un gruppo ancora giovane in cerca della suo stile, capace ancora di fantasticare sugli eroi del West senza badare troppo alle vendite, di osare mescolando suoni e stili. Proprio per questi motivi Desperado va ascoltato con attenzione e rispetto, soprattutto adesso che le Aquile non voleranno più.