Dopo aver attraversato una marea di peripezie ed una pletora di formazioni, i Fleetwood Mac si ritrovano, alla metà degli anni ’70, davanti ad un bivio epocale: rimanere una band underground o entrare definitivamente tra i grandi del rock. La scelta ovviamente cade sulla seconda ipotesi quindi, da oscuri interpreti di puro British Blues derivanti da una costola dei Bluesbrakers di John Myall, il gruppo si trasforma in una sfavillante fabbrica di puro pop. Non c’è più spazio per le digressioni mistico/chitarristiche del folle Peter Green o per oniriche visioni lisergiche sulla falsariga della splendida Albatross, è il momento di cominciare a fare sul serio e di cominciare a stazionare stabilmente nella parte alta delle classifiche. Complice di tale rivoluzione l’ingresso in formazione di tre nuovi membri, il chitarrista Lindsay Buckingham, la cantante/tastierista Christine McVie e la cantante Stevie Nicks, che cambieranno indelebilmente il suono e lo stile della band. Nonostante un amalgama mai completamente raggiunta, i risultati non tardano ad arrivare.
“Riuscimmo a diventare amici solo fino ad un certo punto” (Lindsay Buckingham)
Dopo l’ottimo album omonimo del 1975 che frutta successi come Rhiannon e Say You Love Me, i Fleetwood Mac registrano il loro capolavoro: l’epocale Rumours. Composto in un momento di grandissime tensioni interne (le coppie del gruppo, John/Christine McVie e Buckingham/Nicks, si stavano separando), l’album è un perfetto distillato di sentimenti contrastanti quali amore, odio, gioia, sofferenza e abbandono. Ne sono un ottimo esempio la melodiosa Second Hand News, la magnifica Dreams, l’arcinota Don’t Stop, la traslucida Songbird e la blueseggiante The Chain, vero inno corale al tradimento. Altre perle sono rappresentate dall’acustica Never Going Back Again, dalla tambureggiante I Don’t Want To Know, e dall’oscura Gold Dust Woman dietro cui si nasconde un’ispirazione fuori dal comune fornita, evidentemente, dal travagliato periodo sentimentale.
Alla indubbia qualità del materiale composto si aggiunge una notevole perizia tecnica in fase sia d’incisione che di post produzione. L’enorme talento chitarristico di Buckingham ben si amalgama con la solida base ritmica fornita dal duo Fleetwod/John McVie, mentre le tastiere di Christine forniscono il giusto tappeto ad ogni singolo pezzo. Le voci si fondono alla perfezione, i suoni sono levigati e sicuri, ogni nota è al suo posto, nulla in Rumours è lasciato al caso, ogni cosa trova la sua giusta collocazione contribuendo ad aumentarne la sensazione di forza e compattezza. Pubblico e critica premiano, unanimemente ed anche un po’ inaspettatamente, il disco facendolo schizzare direttamente in vetta alle classifiche fino a farlo diventare il sesto album più venduto della storia. Senza dubbio il grande appeal radiofonico dei brani in esso contenuti e la dolorosa universalità dei temi trattati (quasi un concept album sulla fine di un amore e sulla conseguente separazione) ne fanno un bestseller, una vera e propria pietra miliare della musica di fine secolo. Pochi altri gruppi come i Fleetwood Mac hanno saputo raggiungere un tale strepitoso successo planetario e pochi altri gruppi hanno saputo trasformare tormenti privati in arte pubblica di tale bellezza.