L’importante è esagerare, dicono. L’importante è partecipare, davvero? La pena che i buoni devono scontare per l’indifferenza alla cosa pubblica è quella di essere governati da uomini malvagi, sosteneva Socrate. E chi non ha ali non deve mettersi al di sopra di abissi, asseriva Nietzsche. Non basta fare il bene, bisogna anche farlo bene, affermava Diderot. Un incipit di tutto rispetto, non c’è che dire. Ma il proliferar di tale verbo filosofico e millenario dove ci porta? Negli occhi di Ignazio Filippo Semmelweis, protagonista de Il dottor Semmelweis di Louis-Ferninand Céline.
Filippo è un medico di origine magiara, che si ritrova a esercitare la sua professione nelle viscere di Vienna, tra i battenti scarni di un nosocomio diroccato. L’argento scintillante del Danubio gli manca molto, ma la sua missione è ben più importante di tutte le bellezze sopite di Budapest. E poi sogna l’indipendenza economica, sentimentale, culturale: nelle sue vene scorre sangue idealista. Ogni giorno contempla rabbiosamente una terribile problematica: la morte di giovani donne in gravidanza. La causa è imputabile alla febbre puerperale – o per meglio dire “sepsi delle puerpere” –, una violenta infezione dell’utero, provocata dalla contaminazione di batteri durante l’intervento invasivo per il parto o per l’aborto. Siamo nella seconda metà dell’Ottocento, la scienza medica è lontanissima dai progressi corroboranti del Duemila. In questi anni anche un microscopico sbaglio può mietere vittime invisibili. Lo Stato fa spallucce, medici e infermieri abbassano lo sguardo, le famiglie piangono spilli di rancore.
Il dottor Semmelweis ha estremamente a cuore i sorrisi sfigurati delle sue pazienti e perciò inaugura una ricerca serrata. A passare al vaglio della sua inquisizione sono tutti gli elementi che rimpolpano il campo all’interno degli interventi. Scandaglia tutte le cause possibili e immaginabili, sperimentandole direttamente sulle donne che riceve. Il suo comportamento, intriso di loquace solidarietà, è incredibilmente contrastato non solo dai suoi superiori, ma altresì dai colleghi delle case di cura rivali. Ma Filippo non allenta la presa: le sue analisi producono una scoperta spiazzante.
Il problema è semplicissimo: i dottori che intervengono sulle gravide non si lavano le mani prima di operare. In particolar modo, gli studenti universitari che svolgono il tirocinio, dopo aver trattato i cadaveri a lezione, non procedono ad attuare le norme igieniche minime. Infatti, con le stesse mani svolgono le funzioni principali dell’intervento sulle future madri. Nell’Ottocento i grandi luminari della medicina credono che l’infezione non si potesse trasmettere per via tattile. Errore marchiano.
Il dottor Semmelweis ha la soluzione: propone dei lavaggi di cloruro di calce nella preparazione all’operazione. Dopo innumerevoli rifiuti, l’equipes sanitarie viennesi si arrendono: il risultato è clamoroso: si passa dal 32% al 0,2% di morti femminili annuali. Una candida rivoluzione. Eppure, Filippo non avrà mai il riconoscimento che merita per la salvifica scoperta. Non potrà mai avvicinare Pasteur, uno dei luminari più osannati dell’Occidente. Addirittura i suoi colleghi lo porteranno all’assoluta pazzia: morirà da solo e in condizioni estreme in un manicomio raggelante.
Bella storia, questa di Céline. Metafora perfetta della classe dirigente italiana, che si appresta ancora una volta a tirare le briglie del potere politico. Manager milionari, magistrati castrati, professionisti del sociale con pedigree da paura: Montecitorio e Madama sono pronti ad accogliere la crème brûlee del lavoro “strategico” nostrano. Esultate, elettori! Ma i nuovi-vecchi (?) demiurghi dello Stivale avranno lavato le mani? Questo non sempre accade, forse mai. E non bastano più i guanti celatori nell’era della comunicazione ipertrofica. Questa è storia, assurdamente latitante nella nostra memoria, che non andrà sui libri come Tangentopoli. Peccato, sembrava appassionante.
E i dottor Semmelweis, distribuiti tirchiamente tra i critici intellettuali e sotto i banchi dell’associazionismo politico, dove sono? Si faranno vedere, spesso sono integerrimi. Avanzeranno le loro analisi per riuscire a dominare la febbre puerperale di Aida. Un’infezione che genera automaticamente – a ciclo infinito – corruzione, individualismo, stupidità al centro del popolo. Chissà se costoro avranno la stessa sorte dell’ottimo Filippo: morire per delle idee (le proprie idee), di morte lenta, come canta poeticamente Faber.
Diamo spazio ai lamenti sapienti di Céline, che prende atto, con amara rettitudine, che la battaglia del dottor Semmelweis contro il generale inverno umano lo uccide brutalmente, regalandogli l’immortalità nella gipsoteca della ricerca umanitaria.
Ostetricia e Chirurgia rifiutarono con slancio quasi unanime, con odio, l’immenso progresso che veniva loro offerto. Esse si appoggiavano a bizzarre suscettibilità per potersene restare nei pantani delle sciocchezze purulente, accanto al giuoco dei casi mortali. […] Nel cuore degli uomini non c’è che la guerra…
Siamo noi il cloruro di sodio dei nostri eletti! No, non serve leggere le mani. Scandagliamo le loro azioni ogni giorno, altrimenti ne saremo compiaciuti colpevoli. Lo diceva Socrate. Rendiamoci conto se essi hanno granitiche ali per portarvi a sorvolare sugli abissi. Lo chiedeva Nietzsche. Poi le cose buone (per tutti, nessuno escluso) bisogna farle bene. Lo ricorda Diderot, ma su questo possiamo arrivarci anche da soli. Il sacrificio del dottor Ignazio Filippo non è per niente vano. Se noi, in mezzo al miliardo e mezzo di garrule distrazioni che percuotono il 2018, ne stiamo ancora parlando, un motivo c’è.
Annibale Gagliani-L’intellettuale dissidente