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Han Kang

‘Atti umani’, il dolore nel romanzo storico e di denuncia della sudcoreana Han Kang

Atti umani, romanzo storico del 2017 della scrittrice sudcoreana Han Kang, ultima sua opera pubblicata in Italia, è un libro composto da sette quadri. Sette storie di sette personaggi legati da un unico evento: l’insurrezione di Gwangju avvenuta il 18 maggio 1980. Si tratta di un avvenimento storico quasi sconosciuto alla cultura occidentale, ma centrale nella vicenda moderna della Corea del Sud: dopo l’assassinio del presidente Park Chung-hee il 26 ottobre 1979 e l’instaurazione della dittatura da parte del generale Chun Doo-hwan, nella primavera del 1980, la popolazione di Gwangju, città del sud del paese, si ribellò al potere autoritario.

Il primo capitolo ci racconta qualcosa sulla vita del giovane Dong-ho, che si ritrova a registrare i cadaveri ammassati nella palestra della scuola in attesa dei parenti che vengano a riconoscere i corpi senza nome. E’ appena il giorno dopo la strage e su ogni azione aleggia un profondo senso di confusione e di attesa. La grande particolarità di questo primo capitolo lungo è la scelta dell’autrice di scrivere in seconda persona singolare: il narratore si rivolge al protagonista Dong-Ho dandogli del tu, una tecnica davvero rara. Più avanti sono altri i personaggi a salire su questo fosco palcoscenico, prima di tutto Jeong-dae, amico di Dong-ho, perito nel massacro del 18 maggio 1980.

E’ doveroso insistere su questo avvenimento storico. Si trattò di una vera e propria rivolta popolare. I cittadini di Gwangju scesero nelle vie del centro cittadino per inneggiare alla democrazia e protestare contro la dittatura di Chun Doo-hwan, divenuto Presidente della Corea del Sud con un colpo di stato nell’ottobre del ’79. Le manifestazioni aumentarono già nella primavera seguente, studenti e professori chiedevano il ripristino delle riforme democratiche, ma il governo rispose duramente, reprimendo con violenza le assemblee pacifiche ed estendendo la legge marziale in tutto il paese. Su ordine di Chun i militari spararono sulla folla durante più manifestazioni e nell’arco di dieci giorni uccisero quasi duemila cittadini.

Saranno le voci di tanti giovani a raccontarci questa triste storia, una favola nera di atti umani e soprattutto disumani. Nel primo capitolo ci vengono presentati tutti i personaggi che ruotano intorno al giovanissimo Dong-ho, e saranno poi loro a fare chiarezza sul destino del ragazzo e su tutto ciò che è accaduto in quei miserabili giorni. Prima Jeong-dae, poi la redattrice Eun-sook che trascina le sue giornate una dietro l’altra mentre i ricordi dei giorni in cui ha lavorato con Dong-ho, aiutandolo a sistemare i cadaveri, le ritornano alla mente. Segue la testimonianza di un prigioniero, diversi anni dopo; anche lui era uno degli studenti che organizzò la resistenza durante quella buia notte in cui Gwangju attendeva il ritorno dell’esercito. Si unisce poi la voce di Seon-ju, ormai quarantenne, che lavorava all’ospedale e alla palestra con tutti gli altri durante quei lunghi giorni di assedio. In conclusione assistiamo alla straziante testimonianza della madre di Dong-ho.

Han Kang ci racconta del massacro attraverso un caleidoscopio, infinite sono le sfumature emozionali in cui veniamo immersi. Ogni protagonista porta dentro di sé il rumore degli stivali dei soldati che marciano sulla città, pronti a uccidere o i pianti dei parenti riversi sui cadaveri o ancora l’odore marcescente di tutti quei corpi anonimi. Bisogna sottolineare come il romanzo, nonostante l’inizio faticoso, si dipana con estrema leggerezza e un grande lavoro d’introspezione sui personaggi. Tra l’altro la fine toglie ogni dubbio, la storia è in parte autobiografica. Questo libro colpisce il lettore ed è evidente la grande capacità narrativa dell’autrice sudcoreana. La sua scrittura è coraggiosa ed abrasiva, non risparmia descrizioni raccapriccianti se aiutano il racconto della verità; un certo malcelato distacco sembra aleggiare su tutta la storia. Forse è quello spirito di sopravvivenza che usiamo noi vivi di fronte alla perdita di così tante persone, e per motivi così futili.

Han Kang concilia letteratura e denuncia; rivisita la crudele repressione dei moti di protesta antigovernativi nel 1980 a Gwangju, ma si interroga anche sulla capacità degli uomini riuniti in gruppi di immolarsi in nome di un ideale o di perpetrare violenza: «[…] l’esercitò usò i lanciafiamme contro i civili disarmati. Ai soldati erano state distribuite munizioni che la Corte internazionale di giustizia aveva messo al bando per ragioni umanitarie». La scrittrice coreana sembra suggerire che quelli riferiti siano atti umani, nella misura in cui la ferocia e la follia possono renderci carnefici o vittime, e anzi è forse questa la nostra reale natura: «La dignità a cui ci aggrappiamo non è altro che un’autoillusione, un modo per nasconderci questa unica verità – che ciascuno di noi può essere ridotto a un insetto, a una bestia rapace, a un ammasso di carne?». 

Atti umani è un romanzo con una forza tematica e narrativa unita ad una portata etica con pochi eguali nella letteratura contemporanea, in cui Hang Kang modifica continuamente prospettiva e narratore, passando da quello interno alla seconda o alla terza persona. Nel primo capitolo si rivolge al giovane Dong-ho dandogli del “tu” e racconta come e perché egli abbia deciso di partecipare attivamente alla protesta per vergogna più che per convinzione; nel secondo capitolo, sempre ambientato a Gwangju, il narratore è interno, ma incorporeo, poiché si tratta dell’anima di un manifestante assassinato; nel terzo prevale l’utilizzo della terza persona, la scena si sposta a Seul nel 1985 e si concentra sull’umiliazione subita da una redattrice passata a ritirare una traduzione dall’ufficio censura; nel quarto Han Kang ci porta nel 1990 e dà la parola a un ribelle fatto prigioniero e sottoposto a ripetute torture, così come la donna al centro del quinto capitolo ambientato nel 2002 e alla quale la scrittrice si rivolge in seconda persona. Infine, nel sesto capitolo e nell’epilogo il narratore è interno, prima la madre di Dong-ho come si è detto, e poi la stessa autrice. Ebbene, a dispetto di quanto possa sembrare, questa apparente complessità si traduce in una struttura estremante compatta ed efficace.

Aveva diciotto anni. Passando in autobus lì vicino, aveva serrato gli occhi strizzandoli. Riverberate da una gocciolina dopo l’altra, piccole schegge affilate di luce le erano passate attraverso le palpebre calde, trafiggendole le pupille. Era scesa dall’autobus alla fermata di fronte casa sua ed era andata dritta alla cabina telefonica. Lasciandosi scivolare la cartella dalle spalle, si era asciugata il sudore che le colava sulla fronte, aveva inserito una moneta nella fessura, aveva composto il 114 e aveva aspettato. “Ufficio provinciale, sezione reclami. Dica, prego”. Aveva digitato il numero che le era stato dato e aveva aspettato di nuovo. “Ho appena visto uscire dell’acqua dalla fontana, non penso che dovrebbe essere permesso”. All’inizio tremante, la sua voce era diventata più chiara mano a mano che continuava a parlare. “Voglio dire, come è possibile che abbia ripreso a funzionare? E’ rimasta spenta dall’inizio dell’insurrezione, e adesso va di nuovo, come se tutto fosse tornato alla normalità. Com’è possibile?”.

 

Atti umani di Han Kang

About Serena Lavezzi

Mi chiamo Serena Lavezzi, classe 1986, alessandrina di nascita ma da due anni vivo vicino a Novara. Lettrice per vocazione e scrittrice per passione, sono le due cose che amo maggiormente fare e che mi riescono meglio…che fortuna! Gestisco il blog Penne d'Oriente dedicato alla letteratura giapponese, cinese e coreana. Amo tutto ciò che è cultura e Oriente. Scrivere è la mia seconda vita, ho pubblicato diversi racconti e a breve usciranno i primi due romanzi. Ho una provata esperienza nella revisione e correzione dei manoscritti.

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