«Forse non sarò mai felice… ma stasera sono contenta. Mi basta la casa vuota, un caldo, vago senso di stanchezza fisica per aver lavorato tutto il giorno al sole a piantare fragole rampicanti, un bicchiere di latte freddo zuccherato, una ciotola di mirtilli affogati nella panna […] in momenti come questi sarei una stupida a chiedere di più». Il modo migliore per conoscere un autore, oltre che attraverso le sue opere, probabilmente è anche mediante le proprie lettere e diari. Ebbene, i Diari di Sylvia Plath ne sono un formidabile esempio.
Sylvia Plath (1932-1963) è stata una poetessa e scrittrice statunitense. È conosciuta soprattutto per le sue poesie che appartengono al genere definito confessionale, ma ha anche scritto il romanzo La campana di vetro, fortemente autobiografico e lacerante.
A distanza di molti anni ormai, sembra che l’oblio abbia circondato le opere e il nome di Sylvia Plath. Nonostante, o purtroppo, durante l’ondata femminista tra gli anni ’60 e ’70, la poetessa bostoniana sia stata un riferimento intellettuale per numerose donne militanti, colte o radical come le definiremmo oggi. Si potrebbe ipotizzare che la produzione letteraria di Sylvia Plath paghi lo scotto riservato a quegli autori per i quali, nonostante il talento indiscusso, l’essere diventati simbolo per una generazione o di un particolare momento socio-culturale, ne abbia compromesso a lungo termine il valore letterario. Proprio per questo la poetessa è ancora un territorio inesplorato se la si ascolta con attenzione, con occhi nuovi, senza i fumi narcotici di una pagina storica.
La raccolta dei Diari di Sylvia Plath presenta al centro della copertina una magnifica foto della poetessa con la testa china mentre scrive a macchina, all’interno del volume vi sono anche altre foto che raccontano di una donna il cui destino (si suicidò a soli 31 anni) non collima con quelle immagini. A questo punto è lecito chiedersi chi sia stata Sylvia Plath, premesso che parti del diario siano state distrutte dall’ex-marito, il poeta inglese Ted Hughes.
Ai tratti fisici delicati si contrappone una scrittura forte, capace di suscitare subito reazioni nel lettore. La Plath non adopera orpelli retorici ma una scrittura diretta, un bisturi che allo stesso tempo pesta la pagina e quest’ultima sembra riempirsi subito del suo Io più irruento fino a perdersi nelle sue stesse parole.
Le poesie di Sylvia Plath non sono da meno, basti pensare alla profonda e celebre poesia Lady Lazarus: parole forti e crude. Il continuo parlare di morte della Plath potrebbe ingannare il lettore superficiale; altro non è che un disperato bisogno di vivere. Tuttavia ritengo che la lettura in lingua originale consenta una maggiore resa introspettiva e di apprezzare la pienezza di ogni singola parola. Ogni parola, ogni verso pesano sul cuore come un macigno, lacerano la pagina e catturano il lettore in un abbraccio che è tormento, estasi e annichilimento.
L’emotività e allo stesso tempo la personalità complessa della scrittrice americana, emergono pagina dopo pagina. Ma ciò che mi ha conquistata e appassionata è poter constare come chiunque possa cogliere diverse sfaccettature dell’animo della poetessa, a seconda della propria sensibilità. Così è inevitabile lasciarsi conquistare da parole dense di emozioni, dal conflitto interiore che l’ha attraversata, anche in modo drammatico, nel corso della propria vita. Anche a chi il nome di Sylvia Plath non dice nulla, i Diari costituiscono un buon inizio per avviare una conoscenza emotiva, ancor prima che letteraria e che, proprio per questo, può tradursi in un personalissimo viaggio interiore.
Sarebbe difficile rintracciare note negative in una storia dove un’artista mette a nudo il proprio essere, attraverso la propria voce, senza la mediazione degli “addetti ai lavori” (ovvero critici e quant’altro), è un’esperienza talmente diretta e autentica che non può lasciare indifferenti.