Considerato il capolavoro della scrittrice statunitense Laura Kinsale e definito da Glamour “una delle Love Story più amate dalle autrici di tutto il mondo”, (Best seller Mondadori, 2007) è un romance storico atipico, che elude lo stereotipo dell’amore romantico fra un uomo, dal carattere forte e autoritario, e una donna, possibilmente restia a concedersi alle attenzioni del protagonista, indipendente e carismatica.
Il protagonista maschile de La figlia del matematico è il duca di Jervaulx, un ricco e arrogante seduttore che si trova, invece, improvvisamente e tragicamente, a perdere la capacità di parlare e di comunicare con gli altri, vittima probabilmente di un ictus, e nelle condizioni di non avere più il controllo di nulla. Viene rinchiuso in un manicomio di lusso, solo per componenti indesiderati di ricche famiglie inglesi, nell’attesa che venga riconosciuta ufficialmente e legalmente la sua ‘follia’ e perda ogni diritto sul suo patrimonio. La protagonista è Maddy, o Tatamaddy come il padre si diverte a chiamarla (soprannome odioso che viene ripetuto fino alla nausea nella narrazione), una quacchera abituata al Semplice Parlare e al Semplice Vestire, che per religione non riconosce differenze di classe e da del tu a tutti. Maddy si ritrova a lavorare nel manicomio del cugino e prenderà a cuore il caso di Jervaulx, considerandolo un Incarico celeste, dato il legame che un tempo l’uomo aveva con suo padre, entrambi geni della matematica e facenti parte di un circolo di studiosi.
Jervaulx è quindi alla mercé di Maddy, totalmente nelle sue mani, unica fra tutti che riesce a comunicare, in qualche modo, con lui e a vederlo come un uomo da aiutare e non un folle da rinchiudere per sempre. Il protagonista maschile è vulnerabile e Maddy ha una posizione di forza nei suoi confronti, ma ben presto il loro rapporto cambierà. Resta sempre l’interrogativo: due persone così diverse si sarebbero mai avvicinate l’una all’altra se non fossero stati trascinati dalle circostanze? Il vecchio Jervaulx non avrebbe mai sposato una quacchera, puritana e di rigidi ideali, e lei non avrebbe mai provato simpatia per un duca libertino, “uomo malvagio” lei lo chiama più volte (altro soprannome fastidioso, che stona totalmente con il resto della narrazione) solo perché con lui si sente diversa e preda di desideri che non aveva mai avuto, tralasciando quello carnale si sente bisognosa di ‘vita’ come mai prima, è affascinata dagli abiti colorati (preclusi a una quacchera), dall’arte (nessun quadro può essere appeso alle pareti di una casa quacchera) e dalla compagnia della ‘gente del mondo’ (chiamati così tutti i non-quaccheri). Il passo decisivo per uscire da questa ‘setta’ lo compie sposando Jervaulx e venendo bandita dalla sua comunità. Maddy risulta, nella narrazione, dapprincipio dolce e amorevole, nell’occuparsi del duca e nell’impegnarsi nella sua riabilitazione, andando oltre l’ignoranza dell’epoca che lo vedeva come un pazzo senza speranza, scambiando un problema medico curabile con una punizione del cielo per i suoi peccati carnali, poi sempre più petulante e moralista, dando la colpa al marito di ogni passo che lei stessa sceglie di compiere in direzione contraria alla sua religione. Il suo personaggio migliora solo sul finale, quando ammette che non ci può essere nulla di ‘sporco’ nell’amore e che pur non essendo più ben accetta tra la sua gente può continuare a fare del bene al prossimo e seguire ciò che i suoi principi le suggeriscono di fare.
Al contrario, Jervaulx all’inizio viene presentato come il più classico dei libertini, non proprio l’eroe romantico che ci aspetteremmo, ma alla fine, grazie anche al suo legame e alla necessità che sembra avere di Maddy, stimola una tenerezza che fa quasi commuovere, e con l’aiuto della moglie riesce a riottenere tutto quello che gli spetta di diritto, prima fra tutto: la dignità. È dunque una grande forza di volontà che si respira nel romanzo, della serie ‘volere è potere’, e ‘grazie all’amore nulla è impossibile’. Molto curata anche la ricostruzione storica, soprattutto medica, dell’epoca, soffermandosi sui presunti metodi di cura, basati in gran parte sulla violenza, che venivano imposti ai malati. Rimane un po’ fastidioso nella lettura l’espediente che la Kinsale utilizza per farci capire appieno la difficoltà che Jervaulx ha nel comunicare, come dimostra ad esempio questo passaggio:
“Pensi … no?” le chiese Christian. “Pensi che sei una dolce timida quacchera?” La risata scomposta che ebbe nel dire questo salì fino alle travi del soffitto. “Ostinata … egoista … bugiarda caparbia per orgoglio! Non farò riverenze al re, dannazione! Entrare nella cella di un pazzo … a testa alta … senza paura … avrei potuto ucciderti, Maddy. Ucciderti cento volte.”
“Era un Incarico” sussurrò lei.
“Era … tu” replicò Christian. “Duchessa. Tu… mi hai tolto di là. Tu hai sposato… duca. Tu hai detto… niente cipria ai domestici.” Indicò il pavimento. “Dimmi ora… in ginocchio, lo farò. Il dono del Diavolo.” Incurvò le labbra. “Non perle, fiori… abiti da sera. Qualcosa di impuro in verità. Ti dono… egoista arrogante bastardo… quello che sono, e tutto quello che posso. Ti dono… mia figlia… perché la terrò… perché rovinerò il suo nome per far piacere a me… perché solo tu… solo tu, duchessa… capisci perché lo faccio. Perché solo tu … puoi insegnarle abbastanza coraggio… insegnarle a non curarsi… il disprezzo… quello che dicono. Solo tu… insegnarle a essere come te. Una duchessa.”
La Kinsale sottolinea la difficoltà del protagonista di esprimersi con periodi spesso spezzati e improvvisi voli pindarici, che trasmettono bene il senso di impotenza ma disturbano il più delle volte la mente del lettore nel corso della narrazione. Rimane comunque una scelta ben studiata ed efficace, nonostante quanto detto.La figlia del matematico si presenta, infine, come un romanzo storico che nel bene e nel male si fa ricordare, lascia il segno in quel mare di romance che spesso si appigliano solo a stereotipi e non a molto altro.