La Gilda del Mac Mahon è una raccolta di racconti del 1959 di Giovanni Testori, tra gli autori più complessi ed importanti del Novecento (ma poco ricordato), successiva al Ponte della Ghisolfa. In un quartiere della Milano proletaria del dopoguerra, povera ma piena di speranza per il futuro, una donna dalle fattezze sinuose e provocanti che somiglia vagamente alla famosa diva americana Rita Hayworth, detta “l’Atomica”, vive vicino al Ponte della Ghisolfa, che era all’epoca l’estrema periferia a nord della città meneghina. Gilda si innamora di un balordo, finito in carcere per ricettazione, e lo “mantiene come un signore” vendendo il proprio corpo.
Ma ogni volta che un uomo l’avvicina, si sente prendere da un’ansia e da un timore che confinano con la vertigine, come se si trattasse sempre del primo. Mestiere, quello della Gilda? Come dice lo stesso Testori, se è perché le ha dato da vivere, anzi, nei momenti più difficili, da sopravvivere, lo è; ma per il resto, no di certo, anche perché per sopravvivere si può scegliere di fare anche altri mestieri. Tuttavia lo scrittore milanese fa della sua protagonista una figura straziante e, un’Addolorata profana, lontana dalle ciniche e arriviste escort di oggi, nella Milano di periferia che cerca di rialzare la testa dopo la guerra; Gilda, chioma bionda e abito rosso lungo tempestato di strass, è una donna pura di cuore con un corpo seducente come quello della Hayworth e attraverso lei, Testori vuole ritrarre l’umanissimo microcosmo dei poveri cristi che popola la Milano misera ma generosa del dopoguerra, che sarebbe stata spazzata di li a poco dalla corsa sfrenata al boom economico. La Gilda è una sorta di espediente per Testori, per raccontare con malinconia un mondo, un’Italia che già non c’era più, nel quale ci si aiutava, si era probabilmente più solidali e umani.
I personaggi della Gilda, sono emblemi della “gioventù bruciata” che abitava le periferie milanesi nel dopoguerra; essi vivono di sogni, di speranze, di illusioni, di amori consumati, di delusioni, e solamente le luci del varietà, lo sfavillante mondo dello spettacolo, venditore di sogni e di miti, riescono per un attimo, a sollevare le grigie e sofferenti vite delle varie Gilde, dei Lino (capo di una banda di ragazzini), dei Gino (fidanzato della Gilda), e di tutti i protagonisti delle storie testoriane che fanno da eco alle vicende dei ragazzi di borgata di Pasolini, omosessuale come Testori e come lui, espressione di un mondo di sinistra sicuramente molto distante da quello cattolico tradizionale, sebbene Testori, a differenza di Pasolini, fosse un cattolico tormentato, ma ardito. Entrambi hanno trattato in maniera esplicita temi e argomenti mai affrontati prima (pensiamo alla morbosità sessuale che all’epoca faceva scalpore). Ma il caso intellettuale di Giovanni Testori, ossessionato dal conflitto tra ortodossia e personalismo, risulta più complesso rispetto a quello di Pasolini.
La Gilda del Mac Mahon è un racconto incentrato molto sulla fisicità, sulla sensualità e sull’ironia, dove emerge un certo l’amore dello scrittore per il gusto linguistico: Testori infatti si avvale di francesismi, di termini gergali, il romanzo d’amore.
La protagonista bellona è assunta a mito della cultura di massa per i ragazzotti del quartiere che, sedotti dalle sexy soubrettes e dalle super prestazioni, si avventurano in imitazioni patetiche. Come accade anche oggi. Ma Testori non ha dubbi: giudica la cultura di massa grossolana, alimentatrice di illusione e produttrice di squallore e solitudine.