Il bacio di Lesbia è un romanzo del 1937 dello scrittore Alfredo Panzini che si presenta come conclusione del laborioso cursus professionale dello scrittore romagnolo. Il viaggio nel tempo sulle tracce del mito umano e letterario di Catullo si inserisce in maniera coerente nell’orbita ideologica di Panzini, ovvero un intellettuale di stampo carducciano la cui matrice umanistica soffre i cambiamenti strutturali che hanno sconvolto il microcosmo culturale e sociale nel quale lo scrittore si è formato.
Tuttavia ne Il bacio di Lesbia, Panzini rivela il suo lato più privato, lasciandoci intendere che per lui il mondo esterno esiste solo fino ad un certo punto, attraverso la vita romanzata di Catullo. Come ha affermato Debenedetti, lo scrittore cerca negli aspetti e nelle persone dei pretesti per dei suoi commenti alla cronaca umana, e ciò spesso provoca nel lettore seduzione e respingimento al contempo, basti pensare a Santippe. Ciò accade anche ne Il bacio di Lesbia.
La poesia latina ha conosciuto una sola avventura romantica, quella rappresentata per l’appunto da Catullo con la sua intensità e passionalità e Panzini ha scritto un romanzo di poesia, quello della passione di Catullo per Clodia, meglio conosciuta col nome di Lesbia che diede e poi tolse l’amore al poeta innamorato: la breve felicità, poi il dramma dell’abbandono, le rivolte, le miserie fino a giungere alle preghiere rivolte agli dei per mettere fine alle pena d’amore. Vi è il ricordo di una primavera asiatica, un desiderio di viaggiare e il congedo dalla navicella che ha varcato tutti i mari.
Panzini ritrova nei carmi di Catullo una linea suggestiva, lo si nota quando egli parla dei viaggi per l’Asia come dei viaggi di fuga dalla disperazione d’amore, della primavera come una sorta di rinascita, del ritorno a Sirmione come di un ultimo viaggio, quasi fosse un saluto alla figura materna, formando in questo modo un canto di morte riconciliato con l’aggiunta da parte dell’autore di una breve fantasia per concludere la favola:
“Tu andavi dove lei ti conduceva”, ovvero verso la morte. Il contrappunto di Amore e Morte prepara soavemente l’accordo finale e Panzini lo affronta sollecitando dolcemente i testi, combinando le citazioni dei poeti come gli autori del genere teatrale dei vaudevilles che alterna prosa e arie di canzoni conosciute. Panzini immagina che dopo aver letto il poema di Catullo, Lesbia, donna sensibile, si penta e scriva al suo ex amato richiamandolo a se.
In quest’opera Panzini dimostra tutto il suo stile e il suo gusto sfociando però in errori, in spiritosaggini da operetta, nel tentativo di attualizzare poeticamente ciò di cui parla attraverso toni sentimentali, insinuazioni, filastrocche, inversioni, richiami interni e aggregazioni linguistiche (“Sono venuto a Roma per vedere le belle puelle”). Panzini qui mette in evidenza tutto il suo narcisismo, i suoi vezzi, le sue smorfie: Se in D’Annunzio (non di certo apprezzato da Panzini) l’amore per una materia sconfina nella corruzione e nella lussuria, nello scrittore romagnolo il gusto per la materia semplice sfocia della leziosità. In effetti Panzini e al contempo frivolo e serio: egli infatti crede nell’amore casto e questo aspetto riguarda strettamente la stesura del romanzo e attraverso l’amore di Catullo, vuole celebrare il suo ideale di amore. Nel primo colloquio con Lesbia, come ha notato giustamente Debenedetti, Panzini vuole che che Catullo esalti la castità di Saffo: “Nam castum esse decet pium poetam”, “Si addice al pio poeta d’essere casto”. Proprio su questa tematica ruota l’interpretazione panziniano della passione di Catullo e non v’è dubbio che per Panzini i poeti rappresentano ancora il caso ideale della vita. Proprio quest’ultimo aspetto rappresenta invece il punto di forza de Il bacio di Lesbia, il quale, oltre che rappresentare uno dei maggiori punti di riferimento per quanto riguarda la biografia di Catullo, ci fa sentire come il letterato, per salvarsi debba credere nei propri amori, quegli amori che ci fanno volare nei cieli del sublime, dell’ideale e del misterioso, abbandonando le cose comuni, senza lasciarsi mai abbagliare dalle tentazioni.