Sotto il ghiacciaio: un romanzo irriverente di difficile collocazione: fantascienza? Allegorico? Religioso? Forse c’è un po’ di tutto questo nel romanzo del premio nobel del 1951 dello scrittore islandese Halldór Laxness.
L’interpretazione della storia che si articola in Sotto il ghiacciaio, scritto nel 1968, non è di facile comprensione: a tratti appare quasi come un giallo da risolvere. In effetti è proprio quello che è chiamato a fare il protagonista, studente di teologia, inviato dal vescovo d’Islanda nel lontano ovest, ai piedi del leggendario vulcano Snæfell, dove Jules Verne fece iniziare il suo viaggio al centro della terra. Giunta infatti notizia che il pastore della chiesa locale non celebra più battesimi e funerali, insomma sembra esserci qualcosa che non va.
Il giovane studente si troverà quindi ad essere un reporter in una terra difficile, fuori dall’ordinario: dovrà tentare di capire cosa si annida tra la gente del luogo e cosa spinge il pastore a comportarsi in maniera così strana. Verrà quindi a contatto con le varie persone del luogo, vivrà per un certo periodo di tempo “sotto il ghiacciaio” e si farà una idea degli usi e costumi dei queste genti.
Il famigerato “culto del ghiaccio”, che sembra aver soppiantato il cristianesimo, è una dottrina sfuggente, che nel corso del racconto non è mai spiegata in maniera chiara. I dialoghi e gli argomenti sono di difficile comprensione, ma, una volta inseritisi nella “mentalità” delle vicende, anche i concetti più strani si definiscono con una loro logica.
È il panteismo contro la dottrina di Dio: lo strano reverendo John afferma che “un dio vale l’altro, tranne quello che risponde alle preghiere” e non riesce a dare una spiegazione compiuta di cosa volesse dire che dio è in ogni luogo. È questo quello su cui gioca Laxness: una indefinitezza di fondo, una allegoria totale verso un qualcosa che non può mai essere del tutto compreso.
La contrapposizione che ne esce fuori, dottriva vs misticismo, è da leggere in prospettiva ampia, senza badare troppo ai particolari, lasciandosi trasportare dalla narrazione a volte di echi bucolici, a volte di echi favolistici (suggestiva la descrizione del paese e del suo ghiacciao).
Il mondo paradossale, onirico, spirituale, dove succedono cose strane, si dicono cose strane, e non mancano personaggi davvero stravaganti: riuscirà l’inviato-teologo a raccapezzarsi? Forse Laxness ci vuole far capire lo spaesamento di ritrovarsi in un mondo che non riconosce più la fede millenaria nel Dio cristiano. L’idea del pellegrino che va e che scopre altri mondi è strettamente moderna, ma si ricollega, in questa occasione, a un tutto panteistico, l’uomo che fa i conti con le profondità del pensiero religioso, seppur in maniera favolistica.
Ad ogni modo ne viene fuori una visione ironica e onirica, proprio perché i dialoghi tra i personaggi assumono le caratteristiche di una assurda complessità, incomprensibile, impenetrabile: il modo di affrontare il tema della crisi della religione, da parte di Laxness, definito da molti “sincero credente ma dubbioso cattolico”, lascia col sorriso, e forse solo dopo aver completato tutta l’immersione nel mondo da lui descritto, ci si può rendere conto della sua idea sulla religione, particolare e criptica.