“La vita è una bestialità, e allora dica un po’ lei che cosa significa il non averne commessa nessuna: significa per lo meno non aver vissuto”. Sono parole che non necessitano di spiegazioni, aggiunte, o commenti. Sono le parole di un Luigi Pirandello non ancora quarantenne che, con il suo Il fu Mattia Pascal, scritto nel 1903 e pubblicato l’anno seguente a puntate su “La nuova antologia”, ci catapulta in un mondo in cui è l’apparire ciò che conta. E quali sono le possibilità di riuscire, di vincere, di affermarsi, per un uomo che non ha possibilità di scelta? Per un uomo che continua a fuggire, legato a quell’incapacità di riuscire a realizzarsi, perché quel mondo, il suo mondo, non ha nulla a che vedere con ciò che è, con ciò che vorrebbe essere. Ed eccola l’apparenza,e la trappola.
Quella che ci lega, chi più, chi meno a questo mondo fittizio, a questo mondo in cui ciò che vediamo conta più di ciò che sentiamo. Mattia Pascal lo sa. Sa di dover andare via, sa di dover ricominciare e, in un modo ironico e sarcastico ci riesce, o almeno così crede. Per uno strano scherzo del destino o, forse, grazie ad esso, Mattia riesce, per un breve lasso di tempo ad illudersi di poter ricominciare, di potersi costruire quella vita che aveva sempre desiderato. Ma anche questa è solo un’illusione. “Per quanti sforzi facciamo nel crudele intento di strappare, di distruggere le illusioni che la provvida natura ci aveva create a fin di bene, non ci riusciamo…” Fuggito dal paesino nel quale vive accanto ad una donna che non lo comprende, perché “le donne, come i sogni, non sono mai come tu le vorresti”, giunge a Montecarlo dove, assistito dalla fortuna, riesce ad accumulare una sostanziosa somma di denaro. Divenuto ricco, sulla via del ritorno, Mattia legge sul giornale la notizia del ritrovamento del suo cadavere. Ed eccolo il destino, beffardo, forse un po’ crudele. Un destino che illude, un destino che concede speranza, un barlume, solo un istante di pura speranza.
La speranza di poter ricominciare, di poter partire da zero. Di essere tutto ciò che mai, avrebbe potuto essere restando legato ad un nome, ad un mondo che non gli appartiene. Ma un nuovo nome, una nuova identità, legati a quelle nuove speranze, durate forse solo un attimo, quasi il tempo di un sogno illusorio, sono solo una labile fantasia, un’amara speranza. Mattia, Adriano Meis, si risveglia da quel sogno. Costretto ad accettare che quella nuova vita è fittizia, un’altra illusione, forse l’ultima. Non può sposare la donna che ama, non può sporgere denuncia per un furto subito. Adriano Meis non esiste. “Avrei potuto costruire una nuova vita a modo mio” .La sua unica soluzione è fingere il suicidio per tornare ad essere Mattia, per poter ricominciare ancora, per poter tornare indietro e riprendere quella vita che, sa, essere l’unica che possa essere vissuta. Ma quella vita non esiste più, Mattia non esiste più o, forse, non è mai esistito. Mattia Pascal è il simbolo di quell’umanità incapace di realizzarsi, incapace di concretizzare i propri sogni per più di un breve istante. Mattia Pascal è un uomo che sogna un’altra vita, un altro amore, un’altra pelle. Ancora lei, un’illusione, un’amara speranza. La sua terza vita, Mattia, la vivrà in totale solitudine, chiuso in quella realtà dalla quale aveva provato a fuggire, con la consapevolezza che “La vita o si scrive o si vive, io non l’ho mai vissuta, se non scrivendola.”
Con Il fu Mattia Pascal nasce il romanzo del Novecento, e più specificamente il moderno romanzo umoristico , lontano dai canoni ottocenteschi del realismo e poi del naturalismo; la narrazione qui (in prima persona dallo stesso protagonista che è onnisciente) è fatta «per raccontare e non per provare». C’è riflessione, ambivalente umorismo. Mattia Pascal in questo suo diario di viaggio non rende partecipe il lettore della sua onniscienza, non anticipa i fatti, ma offre un punto di vista sbagliato attraverso le scelte errate che compie. Pirandello vuole mostrare pian piano l’evoluzione del suo protagonista , il crollo delle sue certezze e la sua crisi di identità, ma non gli basta, è come se volesse convincere anche noi , attraverso l’esempio di Mattia Pascal, della validità della sua filosofia sulla società.
Il tema dell’identità, della maschera, della trappola rappresentano un classico della filosofia dello scrittore siciliano. L’identità è una necessità sociale e, quando Mattia Pascal prende coscienza di ciò, è troppo tardi. Ma nessuno mostra la sua vera persona, tutti indossano una protezione, un’altra faccia, una maschera appunto, con la quale presentarsi agli altri che adoperano lo stesso stratagemma. Il pensiero pirandelliano è sempre più attuale , nonostante sia passato un secolo dalla sua formulazione.
Il fu Mattia Pascal è il libro simbolo di Pirandello ed un romanzo senza tempo: le tematiche affrontate sono valide sempre e dovunque.