La strada che conduce al desiderio di affrontare la letteratura russa, specie quella dei grandi, dei celebri e altisonanti nomi difficili da pronunciare è un sentiero tortuoso da intraprendere, in costante salita, ma fonte di grande soddisfazione una volta giunti sulla vetta. L’idiota, Anna Karenina, Delitto e Castigo, titoli che nessuno ignora, letture impegnative, forse troppo, soprattutto per i caldi mesi estivi. Ma l’incontro con la lontana e misteriosa Mosca può avvenire anche in modo diverso, partendo da una narrazione che offre al lettore una prospettiva inusuale ed accattivante. Il percorso è tracciato da un grande classico, Il Maestro e Margherita di Michail Afanas’evič Bulgakov, oggi considerato uno dei più grandi romanzi del 900, nonostante la sua apparizione tardiva e postuma al suo creatore, a causa della nota censura che per anni ha tediato l’Unione Sovietica.
Il Maestro e Margherita (1967) è un’opera che si allontana dalla tradizione e dall’idea generale che si associa al concetto comune di letteratura russa; si tratta sì di un romanzo talvolta difficile da seguire, che non permette distrazioni, ma che tenta continuamente di indirizzare il lettore su sentieri diversi ed intricati, che solo alla fine si ricongiungeranno in un’unica via verso la follia. Un romanzo di cui non si può semplicemente definire l’argomento o descriverne l’intreccio: è una storia d’amore che comprende due storie parallere, è una satira, una critica alla società, un piccolo trattato di metafisica. Il suo brillante autore l’ha definita una storia sul diavolo. E non si può negare che satana giochi un ruolo fondamentale nell’opera, è forse il filo conduttore, la base che porta al delirio di tutte le strade e le vite dei personaggi che ne entrano in contatto. Satana in persona (che nell’ Antico Testamento non è altro che un funzionario, un collaboratore di Dio, inviato sulla Terra per controllare la condotta morale degli uomini, non un angelo superbo punito dopo essersi ribellato al Creatore), giunto a Mosca (città fissa al periodo tra l’esaurimento della Nep e l’inizio della collettivizzazione), sotto le spoglie di un mago con un bislacco corteo di aiutanti, sconvolge la pigra routine della capitale sovietica. Alle tragicomiche sventure di piccoli funzionari e mediocri burocrati della vita e dell’arte fa da contraltare la storia d’amore tra uno scrittore, il Maestro, e Margherita, la sua dolce ed inquieta amante.
Ma nonostante questa demoniaca premessa, non si tratta di un’opera gotica, anzi, il male è qui descritto come una forza che crea il caos, ma secondo una logica precisa, una forza dettata da un obiettivo preciso, che non coincide con le brucianti fiamme della distruzione. Il male guarda in faccia i vizi, li riconosce e li condanna, ed in accordo con la sua forza opposta viene concesso il riposo ai meritevoli. Una sorta di Arca rivisitata e opposta, un equilibrio stabile tra forze opposte e necessarie, un mondo visto da dietro le quinte, come un piccolo globo da poter tenere in mano.
Woland, questo è il nome del diavolo sceso su Mosca per rendersi conto dell’esistenza di quell’inferno in terra, restituisce al Maestro un manoscritto che quest’ultimo, vinto dalle critiche e dalla disperazione, aveva bruciato. Ma di certo Woland non ha un animo altruista; se fa riavere allo scrittore il manoscritto, è perché esso narra la storia di Gesù Cristo e apre la strada alla seconda venuta del Messia. Se Woland vuole giustificare la sua presenza deve salvare il romanzo del Maestro. “I manoscritti non bruciano”ed è quindi lecito pensare che la forza della parola conferisca loro anche un’esistenza autonoma.
Il Maestro ha una funzione puramente strumentale, alla fine egli merita solo il riposo ma non la luce, per aver commesso la colpa di aver cercato di disfarsi del suo romanzo. Bulgakov sembra annettere forza alla parola detta, quella stessa parola che, se scritta, rischia di essere travisata, come fa Levi Matteo verso Jeshua. L’arrivo di Woland identifica in Mosca il mondo che deve finire e qui lo scrittore russo compie una geniale operazione: nel rifiuto delle sperimentazioni stilistiche tipiche dell’avanguardia a lui contemporanea e si ricollega alla tradizione russa ottocentesca. La grandezza di Bulgakov inoltre risiede nell’aver intuito il bisogno della Mosca della Nep di liberarsi della sua condanna ad essere luogo provilegiato della temporalità russa, proponendosi come identità estranea alla storia stessa il grande scrittore, contrario alla Nuova politica di Lenin, si serve di potenze esterne e sovrannaturali, delegando a loro il compito di cambiare il corso della Storia, fermando il tempo nel caos.
Avvalendosi di una scrittura lussureggiante e di letture evangeliche interpretate però letteralmente e non figurativamente (Apocalisse vuol dire rivelazione e non coincide con la fine del mondo ma con la fine dei tempi, dei poteri e degli idoli rappresentati dalle stelle, dalla luna e dal cielo), Bulgakov ha creato una storia difficile da raccontare e predispone, a cui ha lavorato per ben dodici anni, al contempo, infinite traiettorie: dalle diverse prospettive si sono infatti sviluppate diverse e brillanti interpretazioni, che rendono la storia immortale ed indimenticabile, attraverso più generi e mezzi comunicativi: i Rolling Stones hanno avuto comprensione per il diavolo, nel 1968, facendo cantare la figura più contorta ed inaspettata del romanzo; mentre il regista Petrovic ha esasperato il lato romantico, intrecciandolo alla dura critica sociale della vecchia Russia, nel suo film del 1972, gestendo brillantemente una storia ricca di sovrannaturale senza gli effetti speciali a cui siamo oggi interamente assuefatti.
Non può inoltre sfuggire ai lettori di questo capolavoro il rifiuto del destino loro imposto da parte dei personaggi: il Maestro, Pilato, Jeshua e perfino Mosca tentano di sfuggire a quell’inesorabilità con cui non a caso il romanzo si apre: basta dell’olio versato per innescare una catena di eventi e che a garantire l’intangibilità di questa catena scenda sulla terra proprio Woland, probabilmente non è solo un paradosso.
Il Maestro e Margherita è un libro che copre ogni tipo di preferenza letteraria, commuovendo e facendo riflettere, un libro sugli stereotipi e sulle cattive abitudini, che capovolge e disorienta le nostre conoscenze, portandoci a credere che anche nel male, vi è forse giustizia, pietà e compassione.
Bibliografia: M. Martini, prefazione a Il Maestro e Magherita di M. Bulgakov.