“Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia”.
Un incipit assai noto, eppure affatto banale. Quasi imprescindibile, se si vuol discorrere del romanzo di Vladimir Nabokov. Quando Lolita (1955) vide la luce, venne accolto da un ciclone di critiche, ed indignato moralismo, difficile da immaginare oggi, in un momento storico in cui il mondo corre frenetico, avido di vita cruda, mai sazio di clamore. Eppure, la tormentata relazione, tra il raffinato Humbert Humbert (errante insegnante di letteratura) e Dolores Haze (piccola, scaltra dodicenne), sollevò, a suo tempo, un polverone di ingiuste ed insensate accuse di pornografia e pedofilia, davvero lunghe ad estinguersi. Ingiuste ed insensate, poiché oltremodo riduttivo e fuorviante sarebbe ridurre il capolavoro di uno dei più abili Russi della letteratura ad un misero racconto lascivo.
Lolita: trama e contenuti
Il protagonista espone la narrazione attraverso la forma del diario, in quella che potrebbe essere considerata, non a torto, una dolorosa eziologia. Un’esasperata analisi di tutta la faccenda riguardante la sua adorata Lolita. Rievoca il suo passato, spolverando un amore d’infanzia, la piccola Annabel, bambina conosciuta in un’estate spensierata, assieme alla quale Humbert scopre il mistero, fascinoso ed ossessionante, del desiderio carnale. I due ragazzini, coinvolti e curiosi, instaurano un legame sempre più solido, che si spezza, crudelmente, con la morte improvvisa di lei. È la fine della crescita sentimentale del protagonista. Egli svilupperà, negli anni, una brillante intelligenza ed una vasta cultura, desumibile dal francese aristocratico, dai gallicismi, dai latinismi, dalle allusioni precise sugli usi e costumi di vari Paesi, dalle citazioni di poeti quali Poe ed i grandi Francesi maledetti. Nonostante la crescita culturale, però, egli rimane imprigionato, a causa della cupa e scioccante privazione del suo giovane amore, in una dimensione solipsistica, in cui l’unica vera, appagante passione è quella per le bambine. Non per tutte, ma per le “ninfette”: creature smaliziate, furbe, già flessuose nonostante la tenera età, e pericolosamente inconsapevoli del loro fascino:
“Lolita […]. Una sua simile l’aveva preceduta? Ah sì, certo che sì! E in verità non ci sarebbe stata forse nessuna Lolita se un’estate, in un principato sul mare, io non avessi amato una certa iniziale fanciulla”.
La vita di H.H. scorre nel tormentato ricordo della piccola Annabel, tra occhiate furtive alle ninfette dei parchi, e morigerati, ma poco appaganti, amori coetanei, quando, per un purissimo gioco del destino, egli incontra la placida Charlotte una vedova americana (madre di una dodicenne) semplice e piacente, ma culturalmente scialba. Nella casa della donna, il protagonista conosce quello che diverrà l’amore della sua vita, la piccola e vivace “Lo”. Egli, accecato dall’insano sentimento, e dalla tensione sessuale nei confronti della ninfetta, decide di sposare la donna, pur di trascorrere quanto più tempo possibile con il suo tesoro: “Non sarebbe stata per sempre Lolita. […] Entro un paio d’anni avrebbe cessato di essere una ninfetta e si sarebbe trasformata in una ragazza”.
Saldamente legato al principio morale del “non corrompere una minorenne”, del far sì che la magia della passione si compia solo per sé, senza macchiare l’innocenza di una bambina, Humbert vive di sguardi, di salaci scambi di battute, di attimi di estasi non cogliendo che l’odore dei capelli di lei, e di carezze e strusciamenti che egli si sforza di non accentuare, ma che la piccola Lo coglie, e non sembra affatto aborrire. Il freno morale che H.H. si impone per molto tempo, viene levato bruscamente dalla subdola Lolita. Charlotte muore per un incidente, ed il protagonista si pone immediatamente come unico tutore possibile per la bambia. I due, rimasti soli, iniziano un lungo viaggio per le autostrade dell’America. Subito dopo il primo pernottamento, in uno dei Motel (il prestigio dei quali crescerà, con la fame calcolatrice della piccola) che l’insolita coppia visita, Lo si concede spudoratamente al protagonista, che perde ogni ritegno, e si abbandona, con lei, ad ogni sorta di piacere fisico, ed immergendosi nel rocambolesco e grottesco ruolo di tutore-amante, in un turbinio di sesso, ricatti, gelosie, paranoie. In giro per l’America. A bordo della vecchia auto di Charlotte. In un mondo sospettoso e minaccioso, in cui l’unica cosa che conta è farla franca, con la legge, con gli sguardi indiscreti, con l’amante. Lolita è incapace di amare. Trascina la storia per due anni, timorosa di finire in riformatorio, senza un tutore. Humbert muore di lei, e la vizia, le fa studiare recitazione, la coccola, la invoca come una dea (“Lolita mia!”).
L’abbandono, il vero male
Durante il lungo viaggio, l’annoiata, insofferente e viziata Lolita si ammala. Ricoverata la ragazza, H H si ritrova, per la prima volta dopo due interi anni, senza la compagnia della sua piccola amante. Ella, riavutasi in pochi giorni dalla malattia, trova il modo di scappare dal suo tutore, ed andar via dall’ospedale insieme con Quilty, un insano regista poco raccomandabile, conosciuto durante un corso di recitazione, col quale teneva i contatti, durante il viaggio, in attesa dell’occasione giusta. Lolita, ingenuamente innamorata del regista, si affida totalmente a lui, mentre il protagonista, in preda alla disperazione, segue le loro tracce di Hotel in Hotel, senza però riuscire mai ad acciuffarli. Infine, Humbert desiste. Ingaggia una storia passeggera con Rita, una donna dalla reputazione poco invitante, finché, un giorno, non giunge un’inattesa lettera di Lo. H.H la raggiunge, ed ascolta la storia che la ragazza, ormai diciassettenne, ha da raccontare.
Quilty l’aveva portata via, con l’unico, torbido intento di approfittarsi di lei, di inserirla nel mondo della pornografia, e del suo mondo fatto di droghe ed alcol. Ella, innamorata e delusa, aveva rifiutato, ed era stata abbandonata. Subito dopo, aveva incontrato l’ignaro Dick, dal quale, ora, attendeva un figlio. Humbert Humbert doveva limitarsi ad aiutarli economicamente.
Consegnata una grossa somma alla ragazza, non riuscendo a negarle alcunché, H H esplode in un pianto disperato, implorando la sua Lolita di seguirlo, di partire insieme e rimanere inseparabili per il resto della vita, ma riceve una secco rifiuto.
“Voglio che tu lasci il tuo occasionale Dick, e questa topaia orrenda, e che venga a vivere con me, e a morire con me, e tutto con me”.
Respinto irrimediabilmente, H.H correrà a raggiungere Quilty, il vero male, il reale, sporco approfittatore. Il personaggio finemente adagiato, dal sapiente Nabokov, tra le pagine di un romanzo che, più che turbare, invita ad una riflessione. Spinge all’analisi complessa del ‘mostro’, alla ricerca della causa. Esorta all’attenzione e mette in guardia dal giudizio facile (quello che, il più delle volte, risulta fatale), mostrando la netta linea di confine tra il moralmente inconcepibile ed il male.
“Io ti amavo. Ero un mostro […], ma ti amavo. Ero ignobile […] e tutto quello che vuoi, mais je t’aimais, je t’aimais!“.