“Eccoci qui, ancora soli”, esordisce con queste parole Céline in Morte a credito, pensando a chi lo ha lasciato, forse ad Elizabeth. E prosegue: “C’è un’inerzia in tutto questo, una pesantezza, una tristezza…Fra poco sarò vecchio. E sarà finita, una buona volta”. Ma Céline era tutt’altro che vecchio quando ha scritto questo romanzo, aveva 42 anni e si poneva il problema del suo rapporto con la realtà e il destino mortale, raccontando gli amari eventi di un’infanzia e un’adolescenza oppresse dalla famiglia e ricordando l’umano debito d’angoscia con la morte-Signora del mondo che tutto volge in disvalore.
Morte a credito: racconto dell’antefatto di Viaggio al termine della notte
Lo stato d’animo dello scrittore, che dopo la pubblicazione di Viaggio al termine della notte intraprende la stesura di Morte a credito, è ben reso in una sua lettera del 30 dicembre 1932 a Daudet, medico e antisemita:
Mi trovo bene solo nel grottesco al limite della morte; è anche il tema del corpo tragicomico-grottesco di Rabelais, che insiste sul conflitto vita-morte per celebrare la forza della vita ogni volta risorgente…Il mondo? E’ il corpo. E la morte? Alla Dama bisogna presentare un bel sudario tutto ricamato di storie”
Come altri autori di matrice nichilista, Céline non sa né vuole dimenticare la morte, anche se, scrivendo, vi oppone resistenza. La morte, registra il sociologo Bauman, “è la condizione ultima della creatività culturale di sé”. Il nichilismo attivo e la forza anarchica di Céline, nichilista contro lo stato di cose, sono, come dimostra Morte a credito, il contrario di ogni impotente o rinunciatario pessimismo. Con questo suo secondo romanzo, Céline adotta parole non imprigionate nei vocabolari, sollecitando l’emozione dei lettori: il parlato argotico assume in Morte a credito il definitivo dominio del discorso céliniano. Più che mai lo scrittore avverte il bisogno di una forma nuova e individuale per la sua narrativa, di un’azione di rottura linguistico-stilistica, ancora più decisa e radicale che nel Viaggio, contro l’imbalsamato monolinguismo della tradizione liceale ordinaria.
Morte a credito racconta dunque l’antefatto del Viaggio al termine della notte, cioè gli anni della vita dell’alter ego narrativo di Céline dall’infanzia sino all’immediata vigilia dell’evento che segna l’inizio del primo romanzo, cioè la partenza, come volontario, per la prima guerra mondiale. Ma il fatto decisivo è che in Morte a credito non ci sono più fatti: Céline non “racconta” più; vive e fa vivere al lettore, pure situazioni, puri blocchi di materia temporale, dall’interno del loro stesso accadere, in una sorta di presente perpetuo, che demolisce qualsiasi distanza psicologica tra l’esistere della voce e ciò che la voce fa esistere.
Il criterio personale della scrittura letteraria di Céline
Il codice di Morte a credito sceglie la lingua d’uso dei ragazzi di strada, dei maliziosi alunni della scuola comunale frequentata da Céline e non rinuncia ad avvalersi del gergo da caserma, dei pesanti motti dei bassifondi o della ‘mala’, nonché delle chiacchierate con l’amico pittore Gen Paul. Stimolato nella sua fantasia verbale, lo scrittore francese eccede il vernacolo per foggiarsi con la strumentazione argotica una prassi linguistica inedita che tende a richiamarsi ad una ‘logica poetica’.
Riferendosi alle sue calcolate stilizzazioni del Language parlé, Céline spiega come le abbia prodotte; esse “sono il risultato di un certo modo di forzare le frasi a uscire un po’ dal loro solito significato, si spostarle e perciò costringere il lettore a spostare a sua volta il senso. Ma con molta leggerezza, è molto difficile da fare, perché bisogna girare intorno, intorno all’emozione. Ideatore di una letteratura come “arte dell’emozione”, Céline propone un criterio personale di scrittura letteraria, e per far vedere ai lettori la realtà del suo modo di narrare, quanto mostra non è mai un modello facile o noto ma una mise en style: un’inedita e impegnata lingua di stile.
Gronda di dolore e dispera della sorte, Céline, ma non del proprio Io in lotta incessante, egli infatti è disperato ma non avvilito e dunque più vivo se razionalizza la sua perdita della speranza avvolgendola in un caldo accordo emotivo e ridefinendone la distinzione stilistica in una lettera del 12 gennaio 1960 a Henri Mondor, anche lui medico-scrittore: “Mi interesso solo allo stile”. Stile di una strabocchevole lingua della cité con le sue periferie è quello tratto dalla classi sociali subalterne. Lingua densa e viscerale, ironica e sferzante fino all’arguzia sarcastica che aggredisce i tabù della società civile come della norma e della standardizzazione lessicale trasmutandoli in epiteti, alterazioni di suono e senso, metafore sui temi delle classi sociali e dei consorzi umani, del sesso, della violenza, dei traffici illeciti, del delitto.
In Morte a credito prevalgono uno stravolto e deformante realismo, un acerbo lirismo e la dissimulata concitazione dei dialoghi che aboliscono il distacco tra testo scritto e discorso verbale. Poeta itinerante, musico e cantore, in questo suo secondo romanzo l’autore si presenta con il solo nome di Ferdinand, ma continuando a pensarsi come Bardamu o ‘nuovo bardo’ che si diverte a dissolvere, con i generi letterari trascorsi, l’immota terminologia della conservazione. Nell’assenza di trame narrative consuete, si impongono nel romanzo una primaria arte orale contestualizzata nella falsariga autobiografica, la turbolenta profusione di neologismi, la “frase-voce” prodotta nelle sequenze di un parlato-scritto senza congiuntivi e franto dai tre punti di sospensione che fanno assumere ai sintagmi una cadenza martellante.
A linee che marcano una dimensione “altra” della letteratura novecentesca, possono compararsi, tra le più interessanti sperimentazioni dialettali italiane, lo spiccato espressionismo di Parigi, romanzo del 1925 con toscanismi gergali di Lorenzo Viani, e l’alta letterarietà di un Gadda manipolatore del romanesco Quer pasticcaccio brutto di via Merulana, del meneghino La cognizione del dolore, del fiorentino metropolitano di Eros e Priapo: fa furore a cenere contro Mussolini, fino alla gergalità dei gialli di Camilleri.
Trama del romanzo
Morte a credito si intona con lo stesso tema sviluppato grandiosamente in Horcynus Orca e inizia con la scena della misera fine della vecchia Bérenge, portinaia (“L’ho vista morire. Un rantoletto“). Il tema della fuggevolezza e il sentimento della precarietà coniugati in una sorte di danza macabra percorrono emblematicamente il romanzo. Medico alla Fondazione Linuty, Ferdinand è oppresso dalla pena e dalla vergogna per l’impotenza, la vanità e le pretese salvifiche della scienza da lui professata: “Mica io l’ho praticata sempre, la medicina, sta merda”. Lui soffre d’un male oscuro che è la malattia mortale di chi, isolato in una bolla di malinconia, accoglie in sé l’angoscia e il dolore del mondo. Insonne, scrive di notte; provvede Mamma Vitruve, cartomante, a battergli a macchina le pagine che si accumulano copiosamente.
Dopo una lite con la servetta Mireille, nipote della Vitruve, Ferdinand vaga per Parigi quando è colto dalla febbre malarica contratta anni prima, durante la sua esperienza in Africa. Ritrovatosi a letto, steso a letto e assistito dalla Vitruve e dalla madre, sente rumori nelle orecchie e ha una grande visione di una nave che naviga per le vie di Parigi e sente sua madre ricordare il marito Auguste. Il suo sentimento del presente ingloba il pensiero del passato e la paura del futuro, delusa verità e parziale contraffazione dei fatti come accade nella narrativa francese di storia e memoria, da Rousseau a Proust. Con il delirio, affluisce la folla di ricordi confusi, affanni, che si sovrappongono disorientando Ferdinand. Nel vaneggiamento trascorrono la vecchissima zia Artemide, madame Héronde, la nonna Caroline, strade, quartieri e negozi di Parigi.
Se strettamente paragonabile a Morte a credito c’è nella narrativa francese un romanzo senza belles lettres affine alla sensitività céliniana, viene in mente l’autobiografico Il ragazzo (1879) di Vallès, con l’epigrafe: “Dedico questo libro a tutti coloro che creparono di noia a scuola o che in famiglia dovettero piangere, che durante l’infanzia furono tiranneggiati dai loro maestri o picchiati dai genitori”. Proprio come Céline infatti, anche Vallès, giornalista e scrittore militante nell’Internazionale socialista, ha compiuto nel suo libro la ricostruzione di un’infanzia oppressa dalla grettezza familiare e dalle frustrazioni a causa della povertà.
Morte a credito non ottenne subito il successo di critica sperato e gli stessi sodali dello scrittore non si esprimevano più di tanto; forse anche perché il romanzo, opera di un’intensità straordinaria, arrivò in un momento nel quale la letteratura, in Francia come nel resto d’Europa, stava per essere offuscata da una politica ancora una volta vogliosa di guerra a avida di sangue.