Il romanzo Racconto d’autunno di Tommaso Landolfi è stato pubblicato nel 1947 a Firenze dall’editore Vallecchi, ed era stato scritto l’anno precedente nella villa familiare di Pico, luogo di nascita dell’autore. A livello autobiografico la vicenda potrebbe rappresentare il difficile rapporto di Landolfi col padre e la morte prematura della madre, ma soprattutto il suo rapporto con la guerra, durante la quale Landolfi fu incarcerato per attività antifascista e la sua casa di famiglia “sventrata”1 dalla guerra come la villa del Racconto.
Racconto d’autunno: tra storia e fantasia
A livello di testimonianza storica, quindi, il romanzo si ambienta nel contesto della Seconda guerra mondiale, e le vicende si situano nel tempo della guerra, ma il Racconto tratta solo marginalmente di vicende belliche, mentre il combattente (protagonista del romanzo) vive le vicende che lo segnano di più non in battaglia, ma dentro il rifugio della villa, in cui si inseriscono elementi appartenenti al genere del fantastico: Maria Antonietta Grignani ha pensato che Racconto d’autunno potesse rappresentare “il rapporto impossibile tra sfondo resistenziale e sfera del fantastico”.
In particolare, si può suppore una volontà di rifacimento da parte dell’autore del genere del romanzo gotico e romantico, pervenendo però a fatti e ambientazioni vicini al surreale. Tuttavia, dato il contesto realistico, è possibile che Racconto d’autunno abbia dei legami con il coevo movimento del Neorealismo, i cui romanzi erano ambientati in contesti di resistenza e guerra partigiana, anche se Landolfi si volle distanziare da questo movimento, presentando piuttosto tematiche perturbanti e inattuali.
Nonostante il fatto che l’ambientazione nell’avvio del romanzo sia realistica, le circostanze temporali e storiche rimangono volutamente nell’indeterminato: è presente lo spettro di una guerra, sia nell’iniziale ricerca di un rifugio da parte dell’uomo (<<due eserciti si scontravano sul nostro suolo […] coloro che ne avevano la possibilità si erano organizzati per una resistenza armata o
addirittura per l’offesa, altri resisterono almeno passivamente alle imposizioni degli invasori, altri infine badarono soltanto a togliersi dal folto della mischia” dove gli invasori corrispondono ai tedeschi>>), sia nella tragica conclusione della morte della ragazza.
Se dovessimo collocare il Racconto d’autunno in un genere letterario dovremmo tenere conto della volontà di Landolfi di inserire in un contesto realistico elementi sovrannaturali e tinte fosche e di concentrarsi soprattutto su aspetti perturbanti e di mistero della vicenda; questa commistione di aspetti mi ha fatto propendere a pensare che Landolfi si sia voluto avvicinare a un rifacimento del genere gotico ottocentesco.
La presenza di una iniziale ambientazione realistica della storia, potrebbe accostare il romanzo alla categoria critica di “fantastico d’imposizione” formulata da Francesco Orlando in Il soprannaturale letterario, che riscontrava in molti testi novecenteschi elementi sovrannaturali che si impongono al lettore fuori da un contesto tradizionalmente fantastico (fiaba, mito, epica), ma immersi in un contesto ordinario e realistico, come quello di Racconto d’autunno. Il romanzo presenta tuttavia, numerosi riferimenti e topoi danteschi e mitologici.
La solitudine di Landolfi
Per tutta la vita Landolfi si sentì un uomo fuori dal suo tempo, un aristocratico borbonico nato in un tempo non suo, il Novecento, di cui volle dare un punto di vista inattuale, anche nelle scelte linguistiche e lessicali, aventi la funzione di un rifugio rispetto alle mode e ai movimenti letterari del suo tempo, per questo definita “lingua pelle”.
L’intera narrazione è pervasa da un’ossessione descrittiva; questa ipertrofia descrittiva non ha però la funzione di chiarificare quanto descritto, ma di renderlo più vago e a volte labirintico, come nel caso della descrizione della casa, vero e proprio labirinto, di cui invano il protagonista tenta di afferrare l’interezza.
Il periodare, infatti, ha un andamento piuttosto ampolloso e ricercato, di sapore ottocentesco, caratterizzato da una maggioranza di frasi ipotattiche, lunghe, complesse, che presentano spesso incisi, alternate a frasi brevi, anche di una sola parola, nei momenti di maggior effetto o tensione. La prima parte si presenta come più ampollosa, digressiva e caratterizzata dal dialogo interiore, fino al climax, dopo il quale, nella seconda parte, sono presenti più dialoghi.
Le scelte lessicali sono quasi manieristiche, in stile arcaizzante e ottocentesco: si evidenziano parole antiche fuori dall’uso comune (“scalpiccio”,” zolfanello”, “fucile a focone” “strenna francese”, “pugnale o stocco damascati”, “doppieri d’argento”, “zoppa consolle”, “amoerro”) o in forme desuete (“laberinto”, “Affrica”). Nel complesso le scelte lessicali di Landolfi, spesso ossessivamente ricercate e
manieristiche, sono state definite come quelle di “un autore novecentesco, ossessionato fino alla nevrosi dalla insufficienza e opacità del mezzo linguistico rispetto a un’intangibilità del reale.
BIBLIOGRAFIA
Tommaso Landolfi, Opere, I, 1937-59, Rizzoli, Milano, 1991.
Francesco Orlando, Il soprannaturale letterario, Einaudi, Torino, 2018.
Maria Antonietta Grignani, L’espressione, la voce stessa ci tradiscono. Sulla lingua di Tommaso
Landolfi, Bollettino ‘900, 2005.