Con Tokyo Express, noir dal fascino ossessivo del 1943, tutto incentrato su orari e nomi di treni – un congegno perfetto che ruota intorno a una manciata di minuti –, Matsumoto ha firmato un’indagine impossibile, ma anche un libro allusivo, lucido, privo di ridondanze, che sa con sottigliezza far parlare il Giappone.
I corpi di Sayama Ken’ichi e della giovane Otoki vengono ritrovati a Kashii, precisamente sulla spiaggia del promontorio che affaccia sulla baia di Hakata. Sono distesi su una lastra di roccia scura, i vestiti smossi dal freddo vento marino. Dai primi rilievi della polizia è subito chiaro che i due si sono suicidati e le analisi di poco successive confermeranno l’uso del cianuro, anche contenuto in una bottiglietta vuota di succo di frutta posta a fianco dei cadaveri. il caso viene subito etichettato come il suicidio amoroso di due tristi amanti. Iniziano le ricerche per scoprire l’identità dei due corpi e da subito, agli occhi del vecchio ispettore Torigai Jutaro, qualcosa non quadra in quella scena apparentemente perfetta.
Ma facciamo un passo indietro. Una settimana prima del ritrovamento, Yasuda Tatsuo è a cena in un ristorante di cucina occidentale di Ginza in compagnia di due donne, Yaeko e Tomiko. Si conoscono da tempo perché lui è solito portare i clienti della sua azienda a bere nel locale dove lavoravano le ragazze, il Koyuki nel quartiere di Akasaka. Anche Otoki lavora con loro e tutti e tre la conoscono bene. Alla fine della cena Yasuda chiede alle ragazze di accompagnarlo in stazione, deve prendere il treno della linea Yokosuka che parte alle 18.12 per raggiungere Kamakura, dove vive la moglie malata. Quando arrivano al binario il treno non è ancora arrivato e così rimangono a guardarsi intorno e chiacchierare, almeno finché l’uomo non nota un viso conosciuto due binari più in là. Precisamente da dove parte l’espresso Asakaze diretto nel Kyushu, ad Hakata. Tutti e tre si accorgono così di Otoki in compagnia di un uomo, entrambi indossano vestiti da viaggio ed è chiaro che camminano sul binario, apprestandosi a salire sul treno. Yasuda, Yaeko e Tomiko ne rimangono molto sorpresi, visto che non hanno mai sentito la ragazza parlare di un amante o di un fidanzato. La scena si chiude così, nello stupore generale.
L’ispettore Torigai inizia a indagare, ricostruendo il viaggio della coppia e ripercorrendo i luoghi della tragedia. Qualcosa continua a non convincerlo e tutti i suoi dubbi si attorcigliano intorno a uno scontrino trovato nella tasca del cappotto di Sayama Ken’ichi. E’ la ricevuta del vagone ristorante dell’Asakaze, datata 14 gennaio e relativa a un solo coperto. E’ proprio questo il dettaglio che mette in allarme il poliziotto: perché mai la ragazza non ha accompagnato il suo amante a cena? Che avesse già mangiato prima della partenza e fosse sazia? Che stesse riposando nello scompartimento? Tutte queste probabili ipotesi non convincono Torigai e una curiosa conversazione con sua figlia rende il tutto ancora più incerto.
Come a confermare i suoi sospetti, non condivisi dai suoi colleghi di Hakata, arriva direttamente da Tokyo il giovane investigatore Mihara Kiichi della seconda sezione investigativa che si dedica ai casi di corruzione. Infatti si scopre che Sayama lavorava proprio al Ministero della capitale coinvolto in un enorme scandalo. Il poliziotto sembra voler indagare a fondo sul suicidio di questo funzionario chiave per l’indagine, ma da subito fa amicizia con Torigai e quest’ultimo lo fa partecipe dei suoi sospetti. Ben presto anche Mihara si convince dell’esistenza di un vero mistero e, tornando a Tokyo, darà il via alla sua lunga indagine personale.
Lo svolgimento e il finale di Tokyo express sono tutt’altro che scontati, ma anzi mirabilmente narrati dall’autore che sa intrecciare verità e bugia con grande maestria. Infine ci ritroviamo con la ricostruzione di un’inusuale e originale vicenda drammatica, per nulla banale e ben orchestrata. Siamo di fronte a un giallo in piena regola e anzi uno dei migliori esempi di questo genere, a volte sottovalutato ed erroneamente accoppiato al thriller (invenzione molto più recente). Seguire i due investigatori nelle loro elucubrazioni su intenzioni umane, orari ferroviari, coincidenze e sentimenti, è un vero piacere per il lettore. Si viene trascinati con calma, ma è impossibile liberarsi dalla corrente. Si riscontra in Tokyo Express un bellissimo esempio di giallo giapponese di un’altra generazione e si spera vivamente che siano tradotti per noi molti altri suoi scritti (l’autore non è, come sembra, a noi italiani del tutto sconosciuto. Furono infatti pubblicati, diversi anni fa, alcuni suoi romanzi per la collana Giallo Mondadori).
Senti, Sumiko, tornando dal cinema tu e Nitta siete andati a bere qualcosa?”.
La figlia si mise a ridere. “Che domande sono, papà? Sì, certo, abbiamo preso un tè insieme”.
“Davvero? Allora senti” continuò Jutaro come se gli fosse venuto in mente qualcosa “metti per esempio che Nitta avesse fame e ti proponesse di mangiare con lui, mentre tu hai lo stomaco pieno e non riusciresti a mandar giù nemmeno…”.
“Che strana idea!”.
“Ascoltami. E se Nitta ti dicesse: <Mentre io mangio tu fatti un giro, guarda qualche vetrina>, tu che faresti? Lo staresti a sentire?”.
“Che farei?” ripeté la figlia con aria pensierosa. “Ma no, andrei con lui al ristorante. Se no mi annoierei, scusa”.
“Davvero? Ecco, come pensavo. Anche se non avessi voglia nemmeno di una tazza di tè?”.
“Ma sì. Vorrei comunque stare con Nitta. Se proprio non riuscissi a mangiare niente potrei comunque prendere un caffè per fargli compagnia”.
Appunto, è proprio così, pensò il padre annuendo. […]
“Lo faresti perché non farlo ti sembrerebbe poco gentile nei confronti di Nitta, giusto?”.
“Beh, sì. Non è tanto una questione di appetito, quanto di affetto” rispose la figlia.