Non è usanza di Natsuo Kirino andarci leggera con le storie truci e con questo Una storia crudele, romanzo thriller del 2004, ce ne da ulteriore conferma, non è un libro per stomaci delicati. La trama stessa, e non solo la grande capacità introspettiva dell’autrice, lo suggeriscono. La storia parte infatti con una lettera, tanto semplice quanto crudele. Anzi da due. La prima è quella che il marito della protagonista (Ubukata Keiko, conosciuta con lo pseudonimo di Koumi Narumi) invia all’editore di lei, che è una scrittrice, avvertendolo che la donna è scomparsa ormai da due settimane e che ha lasciato quel manoscritto per lui. La seconda lettera è la causa scatenante di tutti gli eventi, che viene inserita dalla stessa Keiko in testa al suo nuovo romanzo, Una storia crudele appunto. Quest’ultima le è stata inviata da Abekawa Kenji, l’uomo, da poco uscito di prigione, che l’aveva rapita quando aveva appena dieci anni. Da qui ci immergiamo nel romanzo di Keiko, che decide di raccontare dopo più di vent’anni la storia del suo sequestro.
Keiko viveva con i suoi genitori in una casa popolare della zona industriale nella città di M., non distante dal quartiere notturno di K. Molto legata alla figura paterna, è invece sofferente alle disattenzioni e alla mancanza d’affetto da parte della madre, punto di riferimento assai evanescente. Una sera la bambina decide di avventurarsi fuori casa per cercare il padre, andando a finire tra le braccia di Kenji. A un certo punto un ragazzo giovane con in braccio un grosso gatto la ferma per la strada, convincendola a seguirlo. Arrivati in un vicolo, lontano da occhi indiscreti, le mette un sacco nero in testa e la rapisce. Per un anno nessuno avrà più notizie di Keiko.
La donna racconta che quella sera d’autunno, mentre era sull’autobus che l’avrebbe riportata dalla lezione di danza sino a casa, già durante quel tragitto che poi sarà destinato a interrompersi, il desiderio manipolatorio del rapitore era mutato in una sorta di presenza attiva nella sua vita. Kenji si era già trasformato in burattinaio e muoveva abilmente i fili della vita della piccola Keiko, questa almeno è la sensazione straziante che ne ha la donna, scrivendo e ricordando. Dal bus, infatti, la bimba vede la cittadina di K. dalle luci scintillanti nell’oscurità imminente. Le passa la voglia di andare a casa e raggiungere la madre sempre distante, vederla cucinare e annoiarsi; vuole andare incontro al padre, sicura che sia a bere con i suoi colleghi in uno di quei locali. Un’impresa quasi impossibile, visto l’alto numero di bar e ristoranti del quartiere, ma che da subito si trasforma in un’avventura entusiasmante agli occhi della bambina. E’ così che, già guardando lo sfarfallio delle lanterne dal finestrino della corriera, Keiko viene spinta dritta per la strada invisibile che la porterà a scomparire per dodici lunghi mesi.
Cosa accadrà durante questo interminabile periodo, mentre la bambina rimarrà prigioniera nell’appartamento del giovane Kenji? Non posso svelarvi tutti i segreti del romanzo, ma posso dirvi che la cangiante mutevolezza dei sentimenti umani, dei pensieri, delle decisioni, delle pulsioni che spingono a sopravvivere, posso dirvi che tutti questi saranno i temi che vi accompagneranno in questa storia a tinte forti, nere.
Abekawa Kenji è un ragazzone di venticinque anni con qualche problema di sviluppo mentale, immerso nella solitudine come un frutto acerbo in un liquore denso. Impossibile per lui liberarsi e riscattarsi da un destino malsano e bieco che è già pronto per lui da tempi immemori. Keiko diventerà la sua migliore amica, le darà anche un soprannome, Micchan. Sarà colei con cui sfogarsi per notti intere sulle ingiustizie che il mondo gli rovescia sulle spalle giorno dopo giorno. Il ragazzo passa le sue giornate tra casa e lavoro, si sente fuori luogo ovunque, tranne quando riesce a condividere i suoi infantili pensieri con il suo piccolo animaletto da compagnia, la bambina rapita. La lettera, che ci introduce nella storia sin dall’inizio del libro, è un tornasole molto cristallino della mente di Kenji e della sua visione distorta del mondo.
Buona parte del romanzo della Kirino è dedicata al ritorno alla vita della bambina dopo la separazione dalla casa del rapitore. E’ un lento percorso quello di Keiko, non viene capita né compresa da nessuno, tanto meno dai genitori e dallo psichiatra che la ha in cura. Come racconta la stessa Keiko nel suo libro-verità, si crea in lei una spaccatura. Di giorno si comporta come qualunque altra alunna e figlia educata, ma di notte inizia a vivere una vita alternativa plasmata dalla sua fervida immaginazione. E’ questo l’unico luogo in cui si sente al sicuro.
Una storia crudele è uno dei libri più crudi di Natsuo Kirino. Con un tono leggerissimo, quasi noncurante, srotola davanti ai nostri occhi un telo colmo di brutture, di brividi lungo la schiena, di esempi atti a dimostrarci quanto la natura umana possa essere incomprensibile. Potremmo dilungarci molto sulla scrittura di questa autrice: grande indagatrice dell’animo umano, le sue frasi vanno dritte al punto, le sue descrizioni sono semplici, ma efficaci, forse uno dei suoi più grandi pregi è quello di saper creare situazioni di disagio, di fastidio nei suoi protagonisti. E la scintilla scocca quando anche il lettore percepisce questa sensazione contro natura: qui si rivela la grandezza di Natsuo Kirino. Il coinvolgimento epidermico è il suo asso nella manica, non manca mai di darne prova. Kirino è molto abile nel dare spazio ad un forte senso di pudicizia e di imbarazzo, tanto potente da poterci addirittura scorgere qualcosa di autobiografico, oltre a far trapelare una giustificazione per l’autoalienazione scaturita dall’incapacità di un mondo adulto idealizzato in maniera negativa.
L’atmosfera generale del romanzo è grigia, dimessa, costituita da immagini distorte o dai molteplici significati in cui i ruoli si ribaltano e si confondono con fatti intricati che vengono resi più sopportabili nello svelamento di contatti tra immaginato e reale.
“Signor Yatabe!” urlai con tutto il fiato che avevo in gola, battendo i pugni contro la porta. “Aiuto! Aiuto!”. Ero sicura che in questo modo Yatabe si sarebbe finalmente accorto della mia presenza. E invece non accadde nulla. La porta si riaprì e venne dentro solo Kenji. Fremente di rabbia, mi mollò un pugno sulla testa, mandandomi distesa al suolo. Un tonfo risuonò nella stanza e dopo un paio di secondi, un dolore pulsante alle tempie, non potei fare a meno di lanciare un urlo. “Micchan, così non va…così non va…così non va”. Mugugnando all’infinito quella stessa frase, Kenji prese a sferrarmi un pugno dopo l’altro sul capo, mentre cercavo disperatamente di parare i suoi colpi con le mani.
“Perdonami… ti prego… non lo farò più!” balbettai tra un singhiozzo e l’altro.
“Stai dicendo la verità?” mi chiese ansimando “Non griderai più? Giuramelo!”
“Sì, sì, te lo giuro, non lo farò mai più, te lo prometto!”.
Com’era possibile che Yatabe non mi avesse sentita urlare? Accortosi del mio sguardo perplesso, Kenji mi fissò con un ghigno diabolico.
E proprio questo è il fascino di Una storia crudele, di una narrazione che la Kirino schiude nella zona liminale fra il sogno e il reale, e, nel gioco di specchi e di immagini rifratte che costruisce, riesce a mantenere alta la tensione e a tenere avvinto il lettore dalla prima all’ultima riga.