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‘Viaggio al termine della notte’, l’impietoso e avvincente progetto di autoconoscenza di Céline

Viaggio al termine della notte è un romanzo immenso, debordante, in cui si incontrano l’anelito dell’uomo alla libertà, il mondo, il genere umano e l’umano troppo umano. Un viaggio tra le tragedie del XX secolo, dove l’uomo viene presentato senza retorica e finzioni. “E’ cominciata in questo modo. Io, io non avevo detto proprio niente. Niente”. Si sintetizza nell’incipit di questo capolavoro del 1932 il senso della koiné orale-colloquiale che dà voce a un soggetto escluso dal sistema.

Louis-Ferdinand Céline: scrittore estraneo alle società letterarie

Si tratta di una voce isolita, quella di Louis-Ferdinand Céline, scrittore estraneo alle società letterarie, sradicato che si esprime all’inizio dei novecenteschi anni Trenta e-dopo la rivoluzione industriale, il nuovo benessere, le svagatezze della Belle èpoque seguite dalla grave crisi economica e finanziaria iniziata con il crollo della Borsa di Wall Strett nel 1929-risente della caduta delle ottimistiche idee di progresso: caduta accompagnata dal dissolvimento dei valori, dal degrado sociale e dagli squilibri politico-economici di un’Europa che, perse le proprie certezze, si consegna ai due conflitti mondiali del Novecento, al tempo, in Francia, del grande romanzo culminante nei nomi di Proust, Gide, Maurois, Green, Malraux, fino alla letteratura parafilosofica di Sartre e Camus.

Al dattiloscritto di Viaggio al termne della notte giunto all’editore Denoel è acclusa una nota dove lo stesso Céline spiega di aver scritto “un romanzo drammatico in uno stile assai singolare di cui non ci sono molti esempi nella letteratura. Una specie di sinfonia letteraria, più emotiva di un romanzo realista; è pane per un intero secolo di letteratura”.

Scritto in prima persona, Viaggio al termine della notte, include all’estremo, nel bene e nel male tutto l’umano. Audace, disinibito e traumatico, è stato redatto in una lingua discordante con i canoni tradizionali e oggi è letto in tutto il mondo. Il romanzo di Céline segna una rottura con la tradizione delle lettere e sembra scritto per demolire ogni pregressa sicurezza non solo letteraria, adottando un lessico polisemico, svariante dal tragico, all’umile, al figurato, al grottesco. E’ l’immaginazione che introduce lo speciale sistema di pensiero di Céline. mobilitando e reinventando il reale ricercandone verità nascoste e nello stesso tempo, intridendo la lingua francese di una inusitata espressività, lo scrittore francese escogita una misura inedita, trasgressiva e illuminante, della letteratura del Novecento.

Viaggio al termine della notte: trama e contenuti

Il viaggio che ci è dato dal romanzo di Céline (dedicato ad Elizabeth Craig, danzatrice americana a Parigi, amata dall’autore) è interamente immaginario e va dalla vita alla morte. Si tratta di un’immaginazione emotiva e smascheratrice che riscatta le penurie dell’esistenza, le incongruità del sopravvalutato intelletto e i limiti della stessa logica che Céline, annullando le distanze tra il protagonista del romanzo e il narratore, affida la propria causa.

Viaggio al termine della notte è una drammatica storia biografica di un tragico primo Novecento che Céline attraversa e notomizza senza reticenze e compiacimenti, ma mettendosi a nudo in un impietoso e avvincente progetto di autonoscenza. Protagonista del romanzo è il Je, l’Io Ferdinand Bardamu, ritratto psichico e proiezione dello stesso narratore prima di diventare il pronome di un indefiito e universale nessuno (personne). Nichilista è la biografia di chi, dando la parola al personaggio-Bardamu, riferisce il proprio suscettibile e tangibile Io, d’altronde come diceva il filosofo Davila, “la prima cosa che lo scrittore inventa è il personaggio che scriverà la sua opera”.

Per questo Céline si riflette in Bardamu, adottandone i punti di vista e lo accompagna ad una successione di personaggi, ognuno dei quali con una propria storia. Tra loro assumono rilievo il portatore degli stessi turbamenti del protagonista, Lèon Robinson, il collega Alcide, la fatua americana Lola, figura all’opposto della prostituta gentile Molly di Detroit, il bambino Bébert che muore di tifo, l’avida famiglia Henrouille, il medico Parapine, Madelon fidanzata di Robinson e talvolta amante di Bardamu al pari dell’infermiera slovacca Sophie, l’abate Protiste e altre figure di in inventario di esistenze instabili in viaggio.

Costanti de Viaggio al termine della notte sono la Prima guerra mondiale, il rifiuto del patriottismo militarista e guerrafondaio, l’insopportabile ordine gerarchico e la cieca obbedienza alla tirannia; il capitalismo usuraio, il colonialismo sfruttatore, i ricchi incuranti dei poveri abbrutiti e persi nella loro miseria, l’egoismo meschino della piccola borghesia, la solitudine metropolitana. Contesto del libro, che segue l’evoluzione di Bardamu la conquista di una matura identità, diventa il mondo: con la guerra per una patria sognata che si trasforma in incubo e chiede sacrifici umani, il viaggio per lavoro del protagonista nell’Africa delle prevaricazioni coloniali e miluogo di ogni beffata speranza di benessere, New York, sede plutocratica del liberalismo e del denaro trionfante, Detroit città-simbolo dello sfruttamento e, allora, come oggi, dei dannati del lavoro manuale con salari di fame. Segue il mesto ritorno in Francia. La seconda parte di Viaggio al termine della notte, riguarda Rancy, squallido quartiere di diseredati, poveracci e furfanti. Tale condizione spinge dapprima il protagonista a tentare dei cambiamenti di vita che lo portano a lavorare in un cinema o a fare la comparsa in un balletto; fino a quando a Tolosa ritrova Robinson, incontrato in Africa e nuovamente in America.

Narrazione e linguaggio: lo stile “emotivo” di Céline

Viaggio al termine della notte è come se fosse un delirio che conferma pagina dopo pagina l’autobiografismo di Céline, con i suoi dolori e passioni. Dentro un tessuto narrativo eterodosso, che sprigiona energia e sconvolge l’uso medio della lingua francese usuale, in principio c’è l’inesperto ragazzo del popolo Ferdinand seduto a un caffè parigino in Place Clichy con il coetaneo Arthur Ganate che ha parole di elogio per la patria e la razza francese: <<La più bella razza del mondo, e cornutaccio chi dice il contrario!>>, esclama Arthur.

La razza?– Replica Bardamu, fino a quel momento silenzioso-La razza, ciò che chiami in questo modo, è solo questa grande accozzaglia di poveracci del mio stampo, cisposi, pulciosi, cagoni, che sono cascati qui inseguiti da fame, peste. tumori e freddo, arrivati già vinti dai quattro angoli della terra. In un linguaggio venato d’argot, Céline traduce la schietta constatazione dell’inesistenza di qualunque razza che, affretellata dalla ventura, non sia umana.

Fuori d’ogni ottimismo, dei miti illuministici e delle illusioni fantasticanti confuse con la speranza, sono due i poli evidenziati da Viaggio al termine della notte: la vita, che non si lascia pensare secondo una logica e al suo opposto, la morte, più logica della vita. Temi che nel secondi Novecento intrigano particolarmente l’italiano Stefano D’Arrigo, autore del capolavoro dimenticato Horcynus Orca, dove come nel romanzo di Céline, vi è una grande attenzione a sciogliere nel testo il significato.

Sono grami i giorni e gli anni vissuti da Bardamu che attraversa, tra un’avventura e l’altra, la notte di un mondo invivibile. Come ha giustamente notato Leo Spitzer, gli eroi di Céline “partono senza giungere a nient’altro che al rifiuto di rimanere. A volte trovano una liberazione all’ultimo momento”. Come Joyce anche Céline ha marcato in profondità la letteratura novecentesca con la sua “scrittura vivente”, con uno stile emotivo invece di adottare il monologo interiore, registro di moti dell’animo e turbamenti rivelatore di quell’umano troppo umano con cui Nietzsche ha compiuto lo smascheramento dei contesti fondati su valori artefatti o idoli, che per Céline sono i miti ideologici.

Viaggio al termine della notte ha avuto molti consensi, sia di pubblico che di critica, ma non sono mancate stroncature come quella dello scrittore Henri Bidou, il quale non si è mai sentito scandalizzato dalla crudezza e dal funzionale turpiloquio del romanzo: <<Romanzo estremamente debole, si procede continuamente in mezzo alle sozzure, e non ci sarebbe niente di male, nonostante il disgusto, se il libro fosse buono, ma il libro non lo è>>. E del giornalista italiano Guglielmo Serafini: <<La presunta satira morale della società borghese nel periodo bellico si riduce in definitiva a un rosario di tirate demagogico-anticapitalistiche di un tono bolscevizzante proprio a certa letteratura di propaganda proletaria che puzza di russo lontano un miglio>>.

Effettivamente, stando ad alcuni contenuti, se si scrivesse oggi un libro simile, molti lo considererebbero un romanzo politicizzato, comunista (Céline si definiva tale infatti, “fino alla polpa”, sebbene, incredibile ma vero, considerato Viaggio al termine della notte, sia stato accusato di collaborazionismo con i nazisti e di essere antisemita e per questo scelse l’esilio in Danimarca), demagogico, politicamente corretto. Chi oggi non dà la colpa della crisi dell’Occidente al capitalismo e si scaglia contro le ingiustizie sociali? Ma la forza del romanzo di Céline risiede nel suo stile personalissimo, nel suo linguaggio che destabilizza ogni fissità sintattico-lessicale, pur essendo criticabile l’individualismo pessimista. Ma Céline non era né demagocio né politicamente corretto e ne ha avuto per tutti, non solo per gli ebrei che considerava non con il loro significato abituale. Il termine infatti non indicava un preciso gruppo etnico o religioso: lo dimostra il fatto che sotto questo vocabolo avrebbe potuto raggruppare tutti gli uomini, compreso lui. Il termine per lo scrittore francese aveva qualcosa di magico. L’Ebreo era il profittatore della guerra, quello che la voce popolare chiama il mercante di armi, le Duecento Famiglie.

Viaggio al termine della notte è un pugno nello stomaco, destinato agli anticonformisti e a chi vuole mettersi a nudo, ad entrare in contatto con la parte oscura di noi; non a caso lo stesso autore ha definito questa sua opera il solo libro veramente cattivo tra tutti i suoi libri, proponendo la tesi secondo la quale i guai capitatigli nella vita nascono a causa non del suo antisemitismo, ma per aver mosso una dirompente accusa contro il quietismo conformista delle tradizioni morali e culturali borghesi.

 

Bibliografia: S. Lanuzza, Céline della libertà.

 

 

 

About Annalina Grasso

Giornalista, social media manager e blogger campana. Laureata in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con L'Identità, exlibris e Sharing TV

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