L’allestimento proposto alla Fabbrica del Vapore, a Milano, è un compendio tridimensionale sulle varietà artistiche che compongono la carriera della pittrice messicana. Il titolo della mostra “Il caos dentro” dispiega la sua lungimiranza nel voler mostrare, concentrarsi a voler mostrare, la poliedricità del quotidiano d’artista che ha fatto emergere le tele che il mondo ha imparato a conoscere.
Il viaggio diventa quasi da indagine, anche da indagine, analisi, psicoanalitica, dal momento che si propone di fatto al visitatore ogni tassello personale che ha contribuito a forgiare le abilità figurative di Frida Kahlo.
Si sbuca, ovverosia, improvvisamente sui sentieri della semiologia dell’arte, della fenomenologia, quasi, allungandoci verso tutte le aule, o gli spazi ricavati per la mostra.
Il percorso interdipliscinare, personalmente, perchè è di questo che si tratta, onestamente, ha il suo picco narrativo al secondo piano, nella stanza dei vestiti lunghi. E qui si va per sentieri etnografici, se è vero come è vero, che i dodici capi di abbigliamento proposti vogliono mettere in luce le radici fortemente popolari e tradizionali che emergono con forza dai lavori di Frida.
Dalle connotazioni etnografiche si passa al personale, al dettaglio del dolore della malattia eterna inflittale da un pessimo incidente. Un passo prima dei vestiti, allora, si fanno vedere i busti ortopedici in gesso che sono il simbolo del sostegno e della cura a lei necessaria nonostante Frida stessa era solita affermare di “non essere malata, ma di essere rotta”.
Più che una mostra questa è stata un’esperienza, un viaggio profondo nella vita di chi ha dovuto sempre lottare per la propria minima sopravvivenza. E l’esposizione propone gli strumenti, i mezzi grazie ai quali Frida Kahlo è riuscita ad imporsi all’attenzione dell’arte a livello mondiale.