Giorgio Caproni nasce a Livorno nel 1912; la sua vita infantile e giovanile viene turbata inevitabilmente dagli eventi della prima guerra mondiale, infatti l’autore presenta quegli stessi anni come anni sanguinosi e pieni di miseria. Dopo un infanzia vissuta nel pieno dopo-guerra a 12 anni, il giovane Caproni comincia i primi studi a Genova. Successivamente, ormai maggiorenne, comincia ad inviare anche le sue prime composizioni a vari editori che gli frutteranno la pubblicazioni di due raccolte: Come un’allegoria (1936) e Ballo a Fontanigorda (1938). Nel 1939 il poeta si trasferisce a Roma, qui vive anche lui tutti i turbamenti dovuti alla seconda guerra mondiale e si schiera infatti dapprima per il regime, poi quando gli viene chiesto di entrare a far parte delle brigate della Repubblica di Salò, si schiera per la Resistenza. Gli eventi della guerra e le riflessioni del poeta su di essi confluiscono nella raccolta Il passaggio di Enea datato 1956. Ha vissuto a Roma fino alla fine della sua vita, nel 1990.
La poetica alacre ed elegiaca di Caproni, scaturita dall’ermetismo e dal vocianesimo ligure (Sbarbaro) è improntata su una finezza espressiva che sfocia in un’apparente semplicità e comunicabilità, col tempo però l’autore matura la sua poetica sempre più tendendo all’affermazione di una realtà ingannevole e mutevole che non trova un mezzo attraverso cui possa essere espressa, non con i versi, non con la poesia e forse che deve rimanere inespressa per essere compresa.
La poesia Anch’io, che fa parte della raccolta Il muro della terra (1975), parla con disarmante semplicità di un intenzione propria del poeta livornese oltre che di qualsiasi letterato o poeta, ovvero la rottura della superficialità della comunicazione e giungere a una comunicazione profonda e ispirata. La poesia sembra sintetizzare il fine ultimo della raccolta: Perforare il muro della terra:
Ho provato anch’io.
E’ stata tutta una guerra
d’unghie. Ma ora so. Nessuno
potrà mai perforare
il muro della terra.
La poesia si presenta come breve e forse semplice, ma ciò non deve trarre in inganno. Si propone un interpretazione complessiva.
Ho provato anche io
Questo verso potrebbe essere interpretato come la dichiarazione di una partecipazione umana di un personaggio quale potrebbe essere lo stesso Caproni oppure un uomo qualunque, che come molti altri prima o dopo di lui partecipa a un rito antico come il mondo, il rito della comunicazione e della trasmissione dell’esistenza, sopratutto dell’interpretazione di questa e della sua perpetuazione dentro vie remote e intime del cosmo, ovvero sotto terra.
E’ stata tutta una guerra di unghie
La voglia di trovare un modo di comunicare perfetto, che non lasci spazio alle incomprensioni e che dia adito a un universale comunione di intenti si esprime in questo verso, le unghie afferrano e dilaniano contemporaneamente la realtà che il poeta cerca di esprimere, quindi sembra impossibile poter esprimere la realtà senza prima traviarla e modificarla con le proprie unghia, estensioni ideali della propria mano e quindi della propria vita, del proprio punto di vista.
Ma ora so
La consapevolezza giunge miserevole e triste, come la sconfitta di un guerriero. La realtà è davvero sfuggevole e fragile.
Nessuno
potrà mai perforare
il muro della terra.
La sconfitta è universale. Nessuno potrà mai scalfire quella barriera che è posta tra gli uomini e l’essenza profonda della terra, che diventa metafora dell’esistenza e della realtà. Nessun uomo potrà quindi avvicinarsi tanto all’essenza della terra, neanche dopo aver combattuto anche con le unghie. La terra coltiverà sempre il suo segreto lontano dagli uomini e dalla loro comprensione, restando un arcano segreto che nessuno potrà mai svelare, un muro che non può essere perforato dietro cui si cela la verità irraggiungibile del tutto.