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La poesia di Umberto Saba: un luogo di conciliazione

Umberto Saba
Umberto Saba

Tra le poesie più belle scritte da Umberto Saba, figura senza dubbio “Mio padre è stato per me l’assassino”, che fa parte dell’opera “Il Canzoniere” nella sezione “Autobiografia”. Ancora una volta il poeta con straordinaria semplicità espressiva riesce a mettere in rima la voce del cuore. Ma la domanda sorge spontanea: può essere un genitore l’assassino del proprio figlio?  Di un assassinio morale, emotivo, si intende. E con quale arma si è compiuto il delitto?

Per rispondere a queste domande bisogna conoscere la vita di Saba, quell’inquietudine che sottilmente e celatamente pervade anche i suoi versi più teneri e pacati; un’inquietudine silenziosa che deriva da un vuoto primordiale, creatosi prima ancora che il piccolo Umberto potesse rendersene conto: il vuoto dell’abbandono da parte del padre che il poeta rincontrerà a soli venti anni. Ed è proprio questa l’arma dell’assassinio: l’assenza di Ugo Edoardo Poli, un’assenza che “uccide” la serenità quotidiana del piccolo Umberto, che gli fa perdere durante l’infanzia l’innocenza della spensieratezza; un’innocenza che il poeta sembra voler ricostruire nei suoi componimenti, che trae linfa vitale dalla sua poesia, da quel linguaggio chiaro e semplice, che ad un lettore meno attento potrebbe sembrare rasentare la banalità e che invece risulta il mezzo migliore per introdurci in un campo complesso quale quello dell’emotività, della psicologia, dei ricordi. Un’innocenza pericolosa, si può dire, tanto è la sua semplicità.

Il sonetto ha il tono di una confessione lirica, con la quale il poeta scava nel proprio passato e riporta a galla in modo nitido e diretto la figura centrale del componimento, quel padre definito “assassino” dalla madre di Umberto Saba e per tanti anni considerato così dallo stesso Umberto, che però attraverso la sua arte poetica riesce ad andare oltre, oltre il dolore, oltre quell’ “antica tenzone” e scoprire in quell’“assassino” del buono.

Riportiamo qui di seguito i versi della poesia:

Mio padre è stato per me l’<< assassino>>,

fino ai vent’anni che l’ho conosciuto.

Allora ho visto ch’egli era un bambino,

e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto.

 

Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,

un sorriso , in miseria, dolce e astuto.

Andò sempre pel mondo pellegrino;

più d’una donna l’ha amato e pasciuto.

 

Egli era gaio e leggero; mia madre

tutti sentiva della vita i pesi.

Di mano ei gli sfuggì come un pallone.

 

<<Non somigliare –ammoniva- a tuo padre >>.

Ed io più tardi in me stesso lo intesi:                                                                                                        

Eran due razze in antica tenzone.                                                                                                                                             

 

La struttura compositiva del sonetto sembra funzionale a sottolineare la contrapposizione di due tipologie umane, di due razze, di due culture, quali quelle dei genitori del poeta. Le prime due quartine sono interamente dedicate al padre, mentre le terzine finali alla madre. La poesia per Umberto  Saba è lo strumento con il quale capire, analizzare e metabolizzare il proprio dolore, le esperienze della propria vita; ed è grazie a questa, che il poeta riesce a cogliere del buono in quel padre “fantasma”, ” gaio e leggero”, nonostante tutto il rancore che ha respirato di riflesso dalla madre, che invece, “tutti sentiva della vita i pesi”. Le stesse figure retoriche ci indicano questa diversità: l’uomo è rappresentato attraverso la similitudine del pallone che sfugge dalla stretta della mano della propria donna, con un ritmo narrativo leggiadro, che ci porta a leggere i versi a lui dedicati tutti d’un fiato, in un’atmosfera giocosa, “leggera” , che si addice perfettamente alla personalità dell’uomo, che spogliatosi dalle responsabilità familiari e paterne, se ne va per il mondo pellegrino, godendo della vita e delle compagnie che essa offre.

L’andamento ritmico cambia invece, quando viene introdotta la figura della donna , che porta sulle sue spalle il peso di tante preoccupazioni, un peso, sottolineato dalle significative inversioni, enjambement che rendono la lettura delle terzine a lei dedicate “pesante” e che quasi costringono il lettore a soffermarsi ad ogni parola; un ritmo narrativo, dunque, che sembra materializzare in versi la pesantezza della vita della madre del poeta.

La poesia di Saba svolge un ruolo di conciliazione. In questo schema ritmico, stilistico, narrativo di opposizioni, ritroviamo infatti un unico filo conduttore: l’amore di un figlio. Un amore, quello di Saba, che matura grazie alla sua arte poetica, un’arte capace sia di attingere alla” leggerezza” del padre, da cui ammette di aver appreso il “dono” della poesia, rendendola gioco, piacere, sia alla “pesantezza” della madre che aggiunge all’arte poetica di Saba quella giusta dose di serietà e responsabilità. Il poeta con i suoi versi, smette di giudicare e apre la via alla rassegnazione, divenuta con la maturità comprensione, come esprimono le due righe conclusive: “ed io più tardi in me stesso lo intesi: eran due razze in antica tenzone”.  Dunque la poesia diviene per lui  proprio questo: un luogo d’incontro, di fusione , tra due mondi opposti, che anche nel male gli hanno lasciato del bene: quel “dono” così grande, così ricco di spinte antitetiche, quel groviglio di emozioni che Saba per anni ha covato dentro, sentendosi in balia di due fuochi e che poi con il suo smisurato talento ha saputo conciliare, plasmare,  trasformare, per fortuna di noi lettori,  in una bellissima,  profondissima arte poetica.

 

 

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Clemente Rebora nasce a Milano il 6 gennaio 1885 dal garibaldino e massone Enrico Rebora e dalla poetessa Teresa Rinaldi. Nel 1903 intraprende gli studi di medicina che presto abbandona per seguire i corsi di lettere presso l’Accademia Scientifico-letteraria di Milano, dove si laurea nel 1910. Fin dalla giovane età l’anima di Rebora sembra intrisa da profonde crisi spirituali; nel suo percorso accademico supera difficili momenti di depressione che lo portano sull’orlo del suicidio. Completati gli studi, dapprima, intraprende la via dell’insegnamento in istituti tecnici e scuole serali non tralasciando la passione per la scrittura; in questo periodo, infatti, collabora con numerose riviste fra cui ‘’La Voce’’, ‘’Diana’’ e ‘’Rivisita D’Italia’’.  Nel 1913 avviene il debutto letterario  con la pubblicazione del volume di poesie Frammenti lirici. Nel 1914 conosce  pianista russa Lydia Natus, l’unica donna che il amerà nel corso della sua esistenza.