Sibilla Aleramo (nome d’arte di Rina Faccio) nacque il 14/08/1876 ad Alessandria, e trascorse la fanciullezza a Milano e l’adolescenza nelle Marche, presso un borgo marchigiano.
Negli anni lavorò come contabile nella fabbrica del padre, al quale fu sempre molto legata, ma quando la madre, soggetta a crisi depressive, tentò il suicidio, fu costretta a sostituirla nel governo della casa e a occuparsi di ogni responsabilità domestica, riuscendo sempre a scrivere racconti e articoli giornalistici.
Nel 1892 fu violentata da un impiegato della fabbrica paterna e costretta a sposarlo; dopo un aborto, dall’unione col seduttore nacque il figlio Walter.
Gli anni del suo matrimonio furono molto infelici, continuamente maltrattata dal marito che la sospettava di tradimento, finché nel 1896 tentò il suicidio.
Si riprese, nonostante le oppressioni del coniuge, e intensificò l’attività letteraria, scrivendo articoli di costume, sociologici e inerenti soprattutto alla questione femminile, e iniziando la stesura del suo primo romanzo, l’autobiografia “Una donna”, testimonianza esemplare della condizione femminile, uno dei primi libri femministi apparsi in Italia, che uscì nel 1906 e riscosse subito un grande successo.
Sibilla Aleramo denunciò la grettezza e il maschilismo provocatorio del suo tempo dove ipocrisia ed ignoranza la fanno da padrone, spingendo le donne a ribellarsi.
Nel 1902 abbandonò il marito e il figlio (che rivide solo dopo trent’anni, nonostante avesse a lungo lottato per ottenerne la custodia) e si trasferì a Roma, avviando, così, la ricostruzione della sua vita dedicandosi appassionatamente ad un’intensa produzione letteraria, in poesia ed in prosa, alle “Scuole dell’Agro Romano” per gli analfabeti, fondate insieme a Giovanni Cena, e approdando all’antifascismo e al comunismo.
Bella, intelligente, libera da schemi e pregiudizi, desiderata dagli uomini, Sibilla Aleramo ebbe molte e intense storie d’amore. Diceva: <<L’amore fu la ragione della mia esistenza e quella del mondo>>.
Ed infatti i suoi scritti traboccano di sensualità e passionalità, ma anche inquietudine, sussulto, come dimostrano le seguenti poesie:
GUARDO I MIEI OCCHI
Guardo i miei occhi cavi d’ombra
e i solchi sottili sulle mie tempie,
Guardo, e sei tu, mio povero stanco volto,
Così a lungo battuto dal tempo?
Mi grava l’ombra d’un occulto sogno.
Ah, che un ultimo fiore in me s’esprima!
Come un’opaca pietra
Non voglio morire fasciata di tenebra,
ma d’un tratto, dalla radice fonda,
alzare un canto alla ultima mia sera.
ROSE CALPESTAVA
Rose calpestava nel suo delirio e il corpo bianco che amava. Ad ogni lividura più mi prostravo, oh singhiozzo invano di creatura. Rose calpestava, s’abbatteva il pugno e folle lo sputo sulla fronte che adorava. Feroce il suo male più di tutto il mio martirio. Ma, or che son fuggita, ch’io muoia, muoia del suo male.
Sibilla Aleramo ebbe relazioni con Cena, Papini, Cardarelli, Boccioni, Cascella, Boine, Campana, Quasimodo, Matacotta, ricordiamo che furono romantiche ed intense.
Una grande ma lacerante passione, di cui resta traccia nell’epistolario, fu quella che la legò al poeta Dino Campana, uomo difficile, scontroso, anticonformista, che cercava nella natura i valori dell’esistenza e che poi, afflitto da gravi disturbi psichici, fu internato in manicomio.
Il suo ultimo grande amore fu il poeta Franco Matacotta, lei sessantenne, lui ventenne; la loro relazione portò tutte le tensioni derivanti da questo rapporto complesso e difficile, in disparità anagrafica e differenza intellettuale, che pure durò dieci anni.
Sibilla Aleramo visse gli ultimi anni della sua vita lottando contro la povertà e la depressione, ma fino alla fine continuò a viaggiare, a incontrare amici e a scrivere. Morì a Roma il 13 gennaio del 1960