Nato a Camerino nel 1892, Ugo Betti trascorre l’infanzia a Parma, dove si laurea in legge nel 1914 con una tesi di filosofia del diritto, La rivoluzione e il diritto. Allo scoppio della guerra, Betti si arruola volontario come ufficiale di artiglieria di campagna. Nel 1920 Betti torna in patria e scrive per il concorso di avvocato delle Ferrovie dello Stato, un’opera di carattere giuridico, Considerazioni sulla forza maggiore come limite di responsabilità del vettore ferroviario. Contemporaneamente si prepara per il concorso nella magistratura, che vince e nel 1921 viene nominato pretore a Bedonia (Parma). Nel frattempo si fa conoscere nel mondo delle lettere con la pubblicazione, nel 1922, della raccolta di liriche Il re pensieroso, e nel 1925 si cimenta nel teatro con dramma di impianto realistico in tre atti, La padrona, vincendo il concorso drammatico bandito dalla rivista teatrale Le scimmie e lo specchio.
Con Frana allo scalo Nord (1932), tra le più riuscite opere dello scrittore, Ugo Betti approda a moduli drammatici più aperti. Il tema tipicamente bettiano della Legge che non riesce a farsi Giustizia è calato in’un’atmosfera sospesa, per sottolineare l’inappagatezza della legge, ottenuta per mezzo della forma del dramma-processo dove i personaggi si confessano. Nel 1938, con Notte in casa del ricco,”tragedia moderna in un prologo e tre atti”. Betti torna, dopo la parentesi della commedia commerciale, al tema dell’inestricabile miscuglio di bene e di male che è nel cuore dell’uomo e a quello della pietà come unica forma di giustizia.
Nel 1944 lo scrittore parmense ottiene la nomina a bibliotecario del ministero di Grazia e Giustizia e nello stesso anno scrive Corruzione al Palazzo di Giustizia, il suo dramma più famoso in Italia e all’estero che gli consente di vincere il premio dell’Istituto Nazionale del Dramma (1949) ed il Premio Roma (1950). Nel 1950, Ugo Betti è nominato consigliere di Corte d’Appello e passa a far parte dell’ufficio stampa della Presidenza del Consiglio e nel frattempo si riaccosta alla pratica cattolica, fatto che avrà delle ripercussioni anche sulla sua produzione drammaturgica, con l’opera Il giocatore.
Soffermandoci in particolare sulla poetica di Ugo Betti, possiamo notare come il fiabesco e il drammatico sono stati i principali temi intorno ai quali ha ruotato la poesia del giudice e drammaturgo. Fiabesco era infatti il tema del Re pensieroso, il suo primo libro in versi, degli ultimi racconti del Caino, dell’Isola meravigliosa fino ad arrivare alle Canzonette; drammatico, quello della Padrona, delle novelle di Case e della seconda parte di Canzonette, La Morte. Tuttavia un tema sorge dall’altro, sono due facce della stessa medaglia, e lo stesso tema fiabesco del Re pensieroso, le cui favole sono state scritte durante la prigionia di Betti dopo Caporetto (e internato a Rastatt con gli scrittori Gadda e Tecchi), presume quello drammatico. Si parte dunque da uno slancio fantastico dietro al quale si avverte una realtà amara.
Ugo Betti ha compiuto un grande passo dal punto di vista letterario con Re pensieroso, opera che sente ancora l’influsso della poesia crepuscolare e impressionista, nel quale alterna squisitezze letterarie a cadute di tono, parole d’uso comune e parlato a parole eleganti. Per quanto riguarda le Canzonette, bisogna sottolineare come il loro significato, il simbolo, diviene più chiaro; ad esempio nella Canzonetta del pescatore senza conforto prevale maggiormente una visione notturna piuttosto che il senso di questo che si concentra nella domanda:
Da chi, perché, padre Priore,
fu formato tanto dolore,
fu creato tanto male?
Qui l’elemento drammatico cede il posto al pittoresco: come in altre canzonette, alla pena della solitudine o dell’amore si sovrappone il gusto per l’idillio o il tratto descrittivo. Al contrario, a volte, il senso drammatico rimane enunciazione: la sintesi non viene raggiunta:
Di qua risse, laggiù balli
là bisbigli di mezzane,
bocche, occhi, fiati caldi,
bave, urli. Nel carname
l’uomo arraffa. Dà in baratto
quel denaro suo scarlatto.
Da questi pochi versi si capisce subito quali sono stati i lati della poesia di Betti: gusto del pittoresco, appunto, e l’idillio, talvolta leggermente manierato (come dimostrano Caterinella, Selvaggia e il Cantastorie), enunciazione di dati elementari che non giungono alla sintesi poetica. Nella Canzonetta degli Amanti addormentati, ad esempio, gli ultimi quattro versi ci danno la visione del mondo resa con parole quasi immateriali. Ma dopo queste poesie, viene il gruppo che Betti raccoglie sotto il titolo La Terra e in esse il secondo titolo del libro La morte, le quali trovano un significato ed espressioni maggiori; nelle Case, ad esempio, quell’enunciazione di dati elementari fa blocco: è poetica perché diventa visione. E se i quattro ultimi versi sono derivati con qualche freddezza, le prime tre strofe danno il senso cosmico della terra e del fatale destino dell’uomo:
In ogni casa, come in un orto,
ogni tanto matura un morto…
Il poeta contempla da un’altezza serena il mondo, il peccato di Adamo, la vanità, le passioni, il dolore. E proprio questi sono i temi delle sue poesie più belle, tra le quali spicca anche Canto di operai, poesia molto ispirata dove la visione umana e cosmica di Betti, severa, lucida, ma non disperata, appare realizzata al meglio.
Per quanto riguarda il Betti drammaturgo, attività letteraria alla quale è stata rivolta, giustamente, maggiore attenzione rispetto a quella di poeta, è importante dire che essa non si può spiegare se non si tiene conto della sua opera in versi; il teatro di Ugo Betti è, come in Pirandello, una proiezione del poeta e del narratore con la sua visione angosciosa del mondo.
Bibliografia: G. Titta Rosa, Vita letteraria del Novecento, V. III.