Vittorio Bodini, illustre e dimenticato autore, esponente della poco conosciuta e sublime poetica meridionale, nasce a Bari nel 1914, ma vive la sua infanzia e giovinezza a Lecce. Nell’arco della sua vita matura un interesse per le materie umanistiche aderendo sin da giovane al movimento futurista e studiando filosofia all’Università di Firenze dal 1937 al 1940 dove conosce personalità di spicco nel panorama letterario italiano come Mario Luzi, Bigongiari e Parronchi.
Vittorio Bodini si trasferisce nel 1946 in Spagna e ritorna in Italia nel 1950: questi sono anni importanti che gli danno l’opportunità di approfondire l’interesse e la conoscenza della cultura spagnola. Nel 1952 il poeta ottiene una cattedra in letteratura spagnola all’Università di Bari e nel 1954 fonda la rivista <<L’esperienza poetica>>. Si trasferisce poi a Roma, pur mantenendo rapporti stabili con gli ambienti leccesi. Bodini muore a Roma nel 1970.
La figura di Vittorio Bodini è quella di un intellettuale diviso tra due mondi e tra due immagini, tra il mondo ispanico e quello salentino, tra la figura del traduttore e quella del poeta; difatti egli è conosciuto negli ambienti letterari e accademici come importante interprete e conoscitore della letteratura spagnola più che come autore di prosa, tra le sue traduzioni più famose ci sono il Don Chisciotte della Mancia di Cervantes, oltre a quelle di Lorca, Alberti, de La Barca, Salinas, Larrea.
La poesia di Vittorio Bodini, inizialmente ermetica post-bellica per poi approdare ad una dimensione, soprattutto per quanto riguarda la struttura, più memoriale, ha un certo valore: se nella sua capacità di traduttore è presente l’analisi razionale e lo studio metodico e profondo, nella poesia si ritrova la sintesi di paesaggi e di immagini e una dialettica umana che fa da ponte tra il mondo del ricordo e il mondo contemporaneo. Una testimonianza è data dalla poesia Il destino dell’uomo poesia del 1969 in cui l’autore descrive la fine dell’uomo come sanguinosa e distruttiva, ma leggendo tra le righe c’è una sottile critica al processo tecnologico di disfacimento operato dall’uomo. Un’altra lirica molto significativa da questo punto di vista è Sto davanti alla tua caverna tratta da Dopo la luna, raccolta del 1952-55.
Sono da ricordare inoltre le opera: La luna dei Borboni ( 1952), Metamor (1967) e Poesie (1972, postuma), raccolta di testi uscita per Mondatori e negli ultimi anni ripubblicata da Besa.
Sto davanti alla tua caverna: analisi e commento della poesia
Sto davanti alla tua caverna.
Esci fuori e arrenditi.
Noi abbiamo la sintassi e la radio,
i giornali e il telegrafo,
e tu non vivi che del mio sonno,
non hai che la roccia a cui ti tieni abbrancato,
e per farmi dispetto
non mi rispondi nemmeno.
Questa breve poesia è un interpretazione del mito della caverna di Platone. Vittorio Bodini prende le parti del prigioniero liberato, colui che sa che la realtà non è mai di facile comprensione e non è relegata solo alla propria “caverna”, i propri luoghi, le proprie illusioni. La reale identità dell’interlocutore è oggetto di interpretazione. Bodini potrebbe parlare alla sua terra, rimasta nelle sue illusioni, nelle sue millenarie certezze e povere convinzioni, attraverso un interlocutore inesistente.
Ma la reale identità dell’interlocutore resta di secondo piano rispetto alla frase finale dell’autore che dice: “e per farmi dispetto non mi rispondi nemmeno”. Nonostante Vittorio Bodini tenti un attacco frontale mettendo in discussione tutto il suo vivere, l’interlocutore non lo degna di risposta. La poesia ora si apre a diverse interpretazioni. Questo appello di libertà e di informazione non viene accolto dal prigioniero. Bodini fotografa l’immobilità di certi atteggiamenti e certi uomini o forse offre uno spunto di riflessione più profondo, la caverna non è solo un illusione, diventa un vero e proprio riparo dal progresso e una benda sugli occhi per chi non vuol vedere una luce che non lo affascina, ma lo intimorisce, che non lo illumina ma lo acceca.
Attraverso questo fantomatico interlocutore, Vittorio Bodini ha l’occasione di parlare a tutti quegli atteggiamenti umani di sconforto, di paura, di timore e di bigottismo. Malgrado l’appello, nessuno risponde, il mondo e gli uomini avanzano, ma ancora esistono caverne per nascondersi. E forse dimenticarsene non è che regresso, tramutando difatti la luce e la forza dinamica del progresso vista come “bene” platoniano in un oscurantismo totale.