‘’La felicità, quella gioia acuta che sconvolge il cuore, quella specie di spasimo dell’anima”. (Carlo Cassola). Semplice, spontaneo, dall’animo pacificista e solidale, un intreccio tra psicologia e politica, tra individuo e società, Carlo Cassola (Roma, 17 marzo 1917 – Montecarlo, 29 gennaio 1987), si è descritto così. Amante della letteratura italiana e in particolare di Dante e di Leopardi, di Tozzi e di Montale, Cassola è oggi un autore quasi dimenticato dall’establishment letterario e culturale italiano novecentesco e attuale. Scrittore dall’aria un po’ casalinga e provinciale, Cassola è in grado di infondere in ogni gesto quotidiano il senso profondo della vita, come racconta lui stesso:
“Fin da bambino, ero consapevole che ogni cosa, ogni fatto, ogni luogo, ogni tempo avesse una tonalità particolare; e questo alone che era intorno alle cose per me era più importante delle cose stesse’’.
Nato a Roma nel quartiere Salario il 17 marzo 1917 da una famiglia borghese e progressista di origine toscana, la sua non è stata un’ infanzia felice probabilmente perché, ultimo di cinque fratelli molto più grandi di lui, si è sempre sentito piccolo e solo. La sua indole da solitario e la sua fervida immaginazione lo spingon oa viaggiare oltre la vita e la realtà, come testimoniano i suoi Fogli di diario in cui incide parole, emozioni, sensazioni.
Dopo aver intrapreso un percorso di studi classici al Ginnasio Liceo Tasso, Carlo Cassola si iscrive alla Facoltà di Legge all’Università di Roma dove consegue, nel 1939, la laurea in Giurisprudenza discutendo una tesi in Diritto Civile. L’esperienza della scuola è stata per lo scrittore disastrosa tant’è vero che lui stesso nel 1969 scrive:
“Scuola di criminalità,ecco cos’è la scuola oggi,non solo da noi ma dappertutto. E la colpa risale alla cultura laica o religiosa che sia. A questa grande spacciatrice di droghe; a quest autentico oppio del popolo’’.
Da liceale Cassola diviene amico dei figli Mussolini,Vittorio Mussolini, Ruggiero Zangrandi e Mario Alicatacon, con i quali collabora ad una rivista studentesca La penna dei ragazzi intitolata in seguito Anno XII. Sono quattro adolescenti in vena dicambiare il mondo, di parlare, esprimersi, urlare, faticare per diventare portavoce della propria generazione. È inconfondibile il ritratto che Cassola fa dell’Italia e dell’umanità sin dai suoi primi scritti; una sorta di antieroe che porta avanti i valori in cui crede, l’ideale anticonformista che si oppone al regime fascista, che rifiuta ogni schema, pregiudizio, dogma e legge. Qualche anno dopo, infatti, Cassola abbandona i suoi ‘’compagni’’per prender parte al movimento del ‘Novismo’ italiano, un movimento di idee esteso ai campi più svariati dell’attività umana e che pone prima del cittadino, la figura dell’uomo. Carlo Cassola a soli quindici anni già crede di poter cambiare il mondo, di ridare i sogni ai giovani.
Cresciuto nella tradizione di Tozzi e sotto l’esempio di alcuni maestri stranieri, fra i quali figura Joyce, Cassola è acuto nell’interpretazione della solitudine e dell’impenetrabilità dei sentimenti. La poetica per Carlo Cassola, è volta a cogliere le vibrazioni più sottili della realtà, quei segreti che si celano dietro le apparenze, dietro i gesti quotidiani, banali, casuali, ma che racchiudono il senso profondo della vita umana. L’amicizia con Joyce è stata determinante nella sua vita poiché lo ha condotto verso nuovi mezzi espressivi, vie nuove che rompono le strategie narrative comuni e consuete. Da lì il passo alla quotidinità che diventerà la sua cifra stilistica. Nè è la prova il romanzo Il taglio del bosco in cui l’esistenza umana più che mai è messa a nudo, spogliata dei suoi piccoli drammi, in particolare quelli di Guglielmo che cerca nel suo lavoro da boscaiolo un modo per sopravvivere alla sofferenza dovuta alla morte della moglie. Dalle pagine di questo lungo racconto dagli echi autobiografici emerge il bisogno di uno scrittore che delinea l’essenza della realtà in ogni passo, ogni tempo e ogni luogo. Joyce lo aiuta a chiarirsi le idee ma è stato un caro amico di Cassola, Manlio Cancogni a definire tale poetica ‘del ’sublimare’’.
Carlo Cassola si sente diverso dagli altri scrittori neorealisti, nonché un autore nuovo, moderno. Contrario allo stereotipo sociale, si oppone alla ricerca degli ‘’spaccati sociali’’ e condanna l’utilizzo del linguaggio popolare e l’uso del dialetto in ambito letterario. Subito dopo la laurea, vive per un breve soggiorno a Firenze dove frequenta assiduamente i salotti letterari dell’epoca, qui conosce grandi intellettuali come Romano Bilenchi, Franco Fortini, Franco Calamandrei, Ferruccio Ulivi, Paolo Cavallina grazie ai quali riusce a pubblicare tre racconti La visita, Il soldato e Il cacciatore sulla rivista <<Letteratura>>. Da qui inizia l’attività da giornalista collaborando con celebri riviste e ben presto diventa direttore della rivista <<Solaria>>. Grazie alla collaborazione con la casa editrice Einaudi riusce a pubblicare La casa di Via Valadier e Un matrimonio del dopoguerra dove si evince un taglio socio-politico. Negli anni ’39-40 lo scrittore si innamora e si sposa con una ragazza di Volterra, patria che diventerà fonte di grande ispirazione e dove visse gli anni giovanili, i più belli e al contempo i più terribili della sua vita. Quando il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra contro i nazisti, Cassola è chiamato alle armi prima a Pisa e poi a La Spezia . Congedato dall’esperienza della guerra partecipa ad un concorso per la Cattedra di Storia, Filosofia e Pedagogia nei licei classici e scentifici e negli istituti Magistrali. Insegna prima a Foligno e poi a Volterra per due anni, quest’ultima sua patria spirituale e poetica che gli ha lasciato nell’animo un vuoto incolmabile.
In questo periodo lo scrittore lascia scorrere i suoi pensieri più profondi con un velo di tristezza al petto incidendo parole scottanti che ritraevano lo scenario di quegli anni, anni di fame e miseria, di lotte e ribellioni per un mondo migliore e più unito. La sua angoscia, la sua solitudine comune ad ogni uomo, il suo dolore e la delusione per la guerra, sono il ritratto di uno dei suoi romanzi più celebri a carattere autobiografico dal titolo Fausto e Anna.
Carlo Cassola è tra i romanzieri italiani che ha vissuto una delle epoche più scottanti nella storia dell’umanità: la Resistenza. Un capitolo per lui, come per milioni di partigiani italiani, straziante. Durante la Resistenza vive nell’Alta Valdi Cecina dove si dedica ad un’umanità nuova, alla gente popolare, agli operai, agli artigiani, ai contadini, ai taglialegna. In memoria della militanza partigiana e dei suoi compagni di brigata, scrive L’ultima frontiera in cui si emoziona, si commuove al solo ricordo di tutti i luoghi di combattimento, dei suoi compagni morti, di chi ce l’ha fatta, e di che invece non s’è più visto.
Cassola è stato ed è al centro di aspre dispute politiche e letterarie benché lui, lo scrittore dall’aria provinciale, rintracciasse ciò che vi è di eterno e immutabile nelle storie umane calate nel dopoguerra, come testimonia il bestseller La ragazza di Bube, pubblicato da Einaudi nel 1960 e vincitore del Premio Strega, criticato aspramente dal Movimento degli Avanguardisti e da Pasolini per un semplicismo innato ed un realismo indignato alla luce della Resistenza . ‘’Liala63’’ così è stato nominato Cassola dagli Avanguardisti mentre Togliatti su <<Rinascita>> parla di lui come un diffamatore della Resistenza. Contestano allo scrittore lo stile, la scrittura e un linguaggio piatto. Gli rimproverano la prosa piana e mimetica, senza spessore, ma soprattutto denunciano La ragazza di Bube ‘’un intrico tra patetismo e ideologia’’. Ma la critica peggiore gli arriva da Italo Calvino quando, in riferimento alle opere di Cassola, parla di “romanzi sbiaditi come l’acqua della rigovernatura dei piatti, in cui nuota l’unto dei sentimenti ricuci nati’’. Gli anni Sessanta sono strazianti per Cassola, che si difende dall’accusa di diffamatore della Resistenza, sostenendo di aver smascherato la verità fatta dai giudici, dagli avvocati e dai politici. Parla di letteratura della crisi, cioè di quella letteratura che parte dal presupposto che la verità del nostro tempo sia la crisi di tutti i valori e che perciò i soli tempi consentiti alla letteratura del nostro tempo siano i temi negativi così come i personaggi, appunto gli annoiati, gli indifferenti, gli erotomani, i nauseati, gli stranieri e via discorrendo.
Critiche eccessive, probabilmente dettato da pregiudizi ed ideologie, da una certa irritazione scaturita dal “rifiuto” di Cassola di schierarsi all’interno movimenti e tendenze vigenti, optando, come fa anche Bassani, per storie, di natura cattolica, idilliaca e piccolo-borghese, dove l’elemento epico, tragico, di tensione morale che ha rappresentato la Resistenza nella vita di molti individui sono in contrasto con l’elemento elegiaco, lirico del tempo che tutto cancella, vero vincitore del romanzo.
Ma sarà l’esaurirsi della Resistenza, il ritorno alla quotidinità senza eroi ad indirizzare Cassola sempre più verso la scrittura come scelta di vita. Così l’antieroe della resistenza sopravvive: scrivendo. Si dedica negli anni Settanta ad Un cuore arido che riscuote un enorme successo. La tenacia di Cassola è ammirevole e sempre pronta ad emergere dai suoi scritti, come si può constatare anche in Gisella, romanzo epico nonché emblema della quotidianità degli anni 60-70 soprattutto in riferimento alle donne che amavano chiacchierare e prendere il sole lungo le spiagge di Cecina a Firenze.
I personaggi più amati da Cassola non a caso sono proprio le donne, delle quali fa trasparire nei suoi romanzi il coraggio e la forza, l’amore per la vita. Donne che a trent’anni si sentono ancora giovani ma che non cercano di nascondere gli anni col trucco. Donne che combattono contro il destino e le tempeste della vita.
Dai romanzi di Carlo Cassola sono stati tratti alcuni film come L’amore ritrovato di Carlo Mazzacurati dal romanzo Una relazione, La Visita di Antonio Pietrangeli e La ragazza di Bube di Luigi Comencini tratto dall’omonimo romanzo.