«Accidenti alla legge!»: con questo aforisma si potrebbe riassumere il carattere satirico, ironico e tagliente di Karl Kraus (Jičín, all’epoca parte dell’Impero asburgico, oggi della Repubblica Ceca), 28 aprile 1874 – Vienna, 12 giugno 1936), scrittore, aforista e giornalista che non ha lesinato critiche alla società, ai politici e ai mass media della sua epoca (rilevo, purtroppo, che abbiamo soltanto poche menti libere, ma soltanto scribacchini di infimo ordine).
Nel tracciare uno schizzo biografico, è bene rilevare, come prima cosa, il suo background multiculturale: nato in quella che è attualmente la Repubblica Ceca, ma che all’epoca era una provincia dell’Impero austro-ungarico, in un’agiata famiglia borghese di ascendenza ebrea, Krausssi trasferì nel 1877 (all’età di tre anni) a Vienna, dove trascorse tutta la sua vita. A scuola Kraus ebbe ben presto contezza del coacervo socio-culturale in cui si trovò a vivere: la sua origine ebrea, la sua ascendenza borghese e l’essere austriaco. Non fu possibile in tutta la sua vita trovare un compromesso con la borghesia, alla quale non risparmiò durissime critiche.
Se è possibile fu la scuola a rappresentare una vera e propria palestra di vita e un trampolino di lancio per la sua futura carriera letteraria: apprese a comporre versi, ma, al tempo stesso, la rigidità del sistema scolastico imperiale e la dogmaticità di alcuni insegnanti ebrei determinarono il distacco dell’autore dalla cultura ebraica, che egli ormai percepiva come ostile.
Abbandonati gli studi giuridici, si dedicò a studi umanistici senza mai completarli, ma, tuttavia, presso il Café Greinsteidl, cuore pulsante dell’ intellighenzia viennese, ebbe modo di incontrare la crème de la crème della Vienna fin de siècle, come Hugo von Hoffmansthal e Hermann Bahr e, al tempo stesso, annuncia il primo numero della sua rivista Die Fackel (“La Fiaccola”), che esce il 1° aprile 1899. È opportuno soffermarsi sul titolo della rivista, che ha quasi un valore programmatico: Kraus vuole agire come se potesse illuminare delle menti ottenebrate, una sorta di neoilluminismo per una cultura soffocata dalle pastoie di Cesare Lombroso, dall’ipocrisia e dalle prime manifestazioni di ideologie proto-fasciste. Una simile novità editoriale non mancò di attrarre contributori di fama, come artisti del calibro di Oskar Kokoschka e Adolf Loos, scrittori come Frank Wedekind, Franz Werfel, August Strindberg, musicisti come Arnold Schönberg e addirittura Oscar Wilde. In questo stesso periodo Kraus si allontana dalla fede ebraica, suscitando sdegno e si fa battezzare nella Chiesa romana, dalla quale uscirà in rotta con le sue posizioni conservatrici e per tutelare la sua autonomia intellettuale. Ancora una volta non posso far altro che apprezzare il rigore intellettuale e la difesa del ruolo dell’uomo di cultura in una società ipocrita e corrotta, che si avvia verso la catastrofe del primo conflitto mondiale.
Corrosiva è la critica di Kraus al conflitto attraverso una delle sue opere più note, Gli ultimi giorni dell’umanità (1915-1922, “Die letzten Tage der Menschheit”), una tragedia in 5 atti con prologo ed epilogo. Al di là dell’attacco alla brutalità e alla violenza della guerra, è significativo riflettere sul carattere dell’opera: 220 scene in cui si alternano i “grandi” (come l’imperatore Francesco Giuseppe) e coloro che si sporcano le mani sul campo e che saranno dimenticati, come gli ignoti e innominati soldati. Non siamo lontani dalla riflessione brechtiana di “Domande di un lettore operaio”. Non si può non ricordare la raccolta di aforismi Detti e contraddetti, la quale come ha giustamente affermato il critico Mario Praz, «come i sovrani orientali che si deliziavano ad affondare le mani in un sacchetto di gemme, il lettore di Detti e contraddetti farà una pesca reale di aforismi memorabili, dai più ovvii a quelli che più tortuosamente rispondono al requisito krausiano dell’aforisma che dovrebbe riuscire a “scavalcare la verità, saltarla con un passo solo”. “L’aforisma non coincide mai con la verità, o è una mezza verità o una verità e mezzo” … E quanti degli scrittori satirici d’ogni tempo potrebbero menare quel vanto che Kraus non a torto attribuiva al suo stile? “Dicono che tutti i rumori dell’attualità sarebbero rinchiusi nel mio stile. Perciò i contemporanei ne avrebbero nausea. Ma i posteri lo potranno tenere come una conchiglia all’orecchio e sentirvi la musica d’un oceano di fango”.
Gli aforismi krausiani svelano anche le sue contraddizioni (non a caso il volume si intitola Detti e contradetti), quelle di uno scrittore di cui a volte si ha l’impressione che l’egocentrismo, il gusto della satira e della battuta sferzante oltrepassino il suo stesso pensiero. Lo si nota maggiormente nelle sezioni dedicate alla donna che sembrano nascondere del maschilismo:
Nulla è più insondabile della superficialità della donna;
La donna è coinvolta sessualmente in tutti gli affari della vita. A volte persino nell’amore;
Bisogna distinguere tra donne colpose e dolose;
Con le donne monologo volentieri. Ma il dialogo con me stesso è più stimolante;
Quanto poco c’è da fidarsi di una donna che si fa cogliere in flagrante fedeltà! Oggi fedele a te, domani a un altro.
La cosmetica è la scienza del cosmo della donna
L’avvento di Hitler e del nazismo in Germania rappresentano per l’ebreo Kraus il pretesto per scrivere Die dritte Walpurgisnacht (1952, postumo, “La terza notte di Valpurga”). Lo scrittore austriaco opera, nel titolo, un richiamo intertestuale a una delle più importanti opere della letteratura tedesca, le due parti del Faust goethiano, dove la notte di Valpurga rappresenta un momento di caos. La terza notte lo è ancora di più.
Riassume il carattere di Karl Kraus questo aforisma, che indica l’approccio iconoclasta dello scrittore:
La libertà di pensiero ce l’abbiamo. Adesso ci vorrebbe il pensiero.
Fonte:
http://www.artspecialday.com/9art/2017/06/12/karl-kraus-anticonformismo/