Nato a Roma nel 1924 da famiglia pisana, Ottiero Ottieri studia presso il Collegio Massimo dei Gesuiti trascorrendo lì gran parte della sua adolescenza. La vena letteraria appare fin da subito viva in Ottieri, infatti giovanissimo all’età di quattordici anni, compone una serie di versi sulla terrazza di un alberghetto a Villabassa, descrivendo le Dolomiti. Nel 1945 Ottieri si laurea in lettere presentando una tesi scientifica sulle operette amatorie di Leon Battista Alberti. Dopo la laurea segue un corso di perfezionamento di letteratura inglese traducendo una serie di drammi significativi.
Nel 1946 Ottiei si trasferisce a Milano dove comincia la propria carriera giornalistica. Qui lo scrittore trova subito lavoro presso l’ufficio stampa della Mondadori: inizialmente comincia a collaborare alla <<Fiera Letteraria>> e in seguito ad altre riviste e quotidiani. Nel 1947 vince il Premio Mercurio per un racconto dal titolo L’isola sulla rivista omonima. Grazie al suo amore per la conoscenza in tutti i campi segue con grande entusiasmo anche studi sociali e psicologici, durante i quali Ottieri conosce Cesare Musatti. Nel 1950, a Lerici, sposa Silvana Mauri, nipote di Valentino Bompiani.
Ottieri e l’incontro con la realtà industriale
Nel 1952 Ottieri viene assunto alla Olivetti rimanendovi fino al 1965. Ed è proprio grazie a questo nuovo lavoro che conosce un mondo diverso: quello dell’industria del primo dopoguerra. Argomento chiave delle sue opere infatti sono i rapporti difficili fra l’operaio e la macchina inerenti al lavoro alienante della fabbrica. Nei <<Gettoni>>, diretto da Elio Vittorini, Ottieri esordisce con il romanzo Memorie dell’incoscienza (1954), che documenta la condizione morale di quella generazione che entrava in crisi con il crollo del fascismo. La storia si svolge nel 1943 in Toscana, durante il periodo dell’armistizio “badogliano”. La trasposizione autobiografica di quella esperienza giovanile è molto evidente nel romanzo che vede un Ottieri mostrare di aver vissuto quell’esperienza con grande sincerità; la sua incoscienza, ovvero lo stato di sospensione morale della sua generazione, tra un mito crollato e la perplessità di accogliere altre fedi con le quali riempire il vuoto interiore, è resa con una verità psicologica che depone sulle qualità di Ottieri di attento osservatore dell’ambiente sociale in cui viveva.
Nel 1957 Ottieri pubblica il suo secondo libro Tempi stretti considerato il manifesto della civiltà industriale che vuole mettere in evidenza, nonché significativo esempio appartenente alla cosiddetta letteratura industriale, filone di cui facevano parte autori come Primo Levi, Bianciardi, Volponi, Parise, Pagliarani. Si tratta di un documento di una nuova esperienza: lo scrittore infatti rappresenta il cambiamento del paesaggio urbano e le conseguenze che si verificano sulla vita degli individui con i problemi relativi al lavoro e agli scioperi con una visione dolorosa, serrata entro una legge ferrea e squallida che prevede il calcolo e lo sfruttamento di una minima frazione di tempo. Il romanzo si muove su due piani: su quello della vita associata alla fabbrica e su quello privato, su un rapporto sentimentale. La novità essenziale di Tempi stretti sta nella crescita morale del protagonista Giovanni, di fronte ai problemi connessi a quelli della sua responsabilità sociale. Ottieri inoltre fornisce al lettore un’esatta fisionomia della città operaia di Milano.
Ottieri continua il proprio progetto con Donnarumma all’assalto (1959), un romanzo-diario che registra le condizioni degli operai dal punto di vista di uno psicologo che si occupa di scegliere i dipendenti. Egli giungerà ad una conclusione amara: l’intellettuale a causa della sua diversa collocazione non può rappresentare in maniera autentica la classe operaia. Lo scrittore racconta il conflitto tra un organismo di fabbrica modernissmo ma calato come un aerolito in un ambiente dove non esiste alcuna possibilità di maestranze qualificate ma solo fornite di una qualità elementare: il bisogno di lavorare, l’istinto di sfamarsi. Ma alla fine , il conflitto non è più tra legge della fabbrica e l’onda di umanità che le si scaglia contro; è tra la necessità e la libertà, la necessità dell’ordine e della tecnica e la libertà dell’uomo operaio. Questo conflitto metafisico, Ottieri, in veste di diarista-psicologo lo riassume in una paginetta alla fine del libro:
<<Un pezzo in un dato tempo va eseguito con un dato metodo, cioè con movimenti prestabiliti. Ad ogni operaio piacerebbe, d’istinto, arrangiarsi da solo, inventare la sua maniera di correre, ma il cronometrista gli assegna il tempo, e gli insegna, gli impone come raggiungerli; come manovrare l’attrezzo, muovere la mani e i piedi, regolarsi nella successione dei gesti. L’operaio crede che questa costrizione lo rallenti e che, sbrogliandosela da solo, improvvisando, andrebbe più svelto; cerca insomma la sua libertà. Ma il tempo ha la propria ragione…>>.
Per Ottieri dunque l’operaio ritroverà la sua libertà solo quando la ragione sarà tornata ad essere istinto, creatività ed iniziativa spontanea. Un operaio-artista, insomma ben lontano dalla triste immagine cui siamo abituati a concepire quando pensiamo al duro lavoro in fabbrica e ci viene in mente la figura dell’alienato Lulu (interpretato da uno stepitoso Volonté), protagonista del capolavoro di Elio Petri, La classe operaia va in paradiso che racconta l’esperienza asfissiante e atroce della condizione dell’operaio negli anni settanta che è quella narrata da Ottieri in Tempi stretti.
L’avvicinamento alla psicoanalisi
Abbandonato il filone “industriale”, Ottieri si dedica alla tematica cronachistica e memoriale esordendo con La linea gotica, con l’obiettivo di indagare in profondità l’”io” nelle sue mille sfumature. Grazie a questa nello stesso anno vince il Premio Bagutta. A partire dalla metà degli anni Sessanta, egli convoglia il proprio amore per la psicologia con l’autobiografismo dando luce ad opere come L’irrealtà quotidiana (1966), saggio romanzesco sulla “malattia morale”, che gli vale il Premio Viareggio. Sulla scia dell’introspezione psicologica scrive anche (Il pensiero perverso, 1971) e Il campo di concentrazione (1972), diario di un lungo ricovero per una grave depressione. In seguito lo scrittore nato a Roma continua la sua indagine esplorando temi satirici e caricaturali come ne Il divertimento (1984), e in Improvvisa la vita (1987). Ottieri raggiunge il traguardo della sua scrittura nel 1996 con Il poema osceno opera costituta da un misto di prosa e versi. Nel 1997 sorprende i suoi lettori con l’opera De morte, un libro provocatorio in cui definisce come suo obiettivo: “La mia unica parola nuova è nominare la morte in un ambiente che la tace per convenienza”. Ottiero Ottieri muore a 78 anni, a causa di un attacco cardiaco, nella sua casa di Milano, il 25 luglio 2002.