Nato a Trieste nel 1888, Scipio Slataper, dopo i primi studi nella città natale, nel 1908 si stabilisce a Firenze per frequentare l’università. Qui entra in contatto con gli animatori della <<Voce>>, rivista per la quale collabora intensamente con saggi, recensioni e traduzioni, divenendo segretario di redazione. Attento alle più nuove voci della letteratura europea, Scipio Slataper si laurea nel 1912 con una tesi sul drammaturgo norvegese Herik Ibsen, che verrà pubblicata postuma nel 1917. Sempre nel 1912, Slataper pubblica il volume Il mio Carso presso la casa editrice della <<Voce>> e nel 1915 due scritti di intonazione politica, esplicitamente inneggianti alla guerra italiana contro l’Austria: I confini necessari all’Italia e Le strade d’invasione dall’Italia all’Austria. Partito volontario nel 1915 per il fronte carsico, Slataper muore in combattimento sul monte Podgora alla fine dello stesso anno.
Gli scritti letterari e politici di Slataper sono stati raccolti una prima volta in due volumi, a cura di Giani Stuparich: Scritti letterari e critici e Scritti politici. L’intera opera dello scrittore triestino è stata edita, sempre a cura di Stuparich, negli anni cinquanta in sei volumi.
Il mio Carso è stato definito dallo stesso autore una lunga “autobiografia lirica”, ovvero un libro di bilancio che registra un periodo di crescita interiore. L’opera dunque è partecipe alla sperimentazione vociana e rivela, insieme all’insofferenza per le forme tradizionali del romanzo, il desiderio di trovare una “parola nuova”, capace di comunicare l’urgenza della propria esperienza individuale, dei propri sentimenti e ricordi. Slataper progetta un’opera che riproduca la verità del vissuto autobiografico: nel corso della narrazione si intrecciano infatti i momenti di gioia, quando il protagonista che racconta si immerge nella natura e può godere l’amicizia di persone semplici, come nella sua giovinezza, e le situazioni di sofferenza e dolore, gli impulsi alla solitudine e il desiderio di superare l’individualismo per la solidarietà tra gli uomini.
La conclusione de Il mio Carso coincide con l’esaltazione dell’etica, dell’amore e del lavoro, per cui l’attività e gli affetti sono celebrati come i fondamenti di fratellanza. L’autobiografia lirica consente dunque a Slataper di uscire dai limiti espressivi della tradizione romanzesca, lavorando sulla sintassi, raccordando le frasi per ottenere forza e concitazione, variando i tempi verbali, scambiando “io” e “tu” per far risaltare le molte facce della vita interiore. Ne è una semplice testimonianza il seguente breve passo in cui l’io narrante descrive la stagione della vendemmia e i suoi primi timidi approcci con Vila, una ragazza di campagna, illustrando sia la felicità di sentirsi parte integrante della natura, sia la gioia dell’amore adolescente. L’avvicinamento della scrittura al linguaggio parlato inoltre, giunge fino a raccogliere espressioni dialettali, che portano con se i suoni e i valori della vita reale.
<<Bella è la vendemmia. Oltre i vignali vanno grida e risate; i cani sbalzano, accucciandosi sulle zampe davanti, da questo a quel gruppo di vendemmiatori, e i passeri frullano sbandati. Il padrone eccita: Dai, dai, dàghe, dàghe, forza, prr, prr, prr, dai ,dai!. Le labbra e il mento sono appiccicose di mele stillato, e le mai, la maglia, il manico della roncola, i pampani, le brente, i carri. Tutto è una gomma rossastra>>.
Lo sviluppo del tessuto narrativo de Il mio Carso è frammentato e procede per scansioni e sequenze non legate tra loro da evidente continuità temporale, mentre la tensione lirica sorregge la scrittura di Slataper nei passaggi dall’uno all’altro quadro; a tal fine l’autore non esita a scompaginare le norme che regolano l’ordinamento sintattico tradizionale.