“Storia di un presidente che si credeva un topo” di Giuseppe Tecce è un romanzo in cui si mescola realtà e fantasia per parlare di questa pandemia che ha cambiato per sempre le vite e i progetti di tutti gli esseri umani. Con una scrittura molto attenta a descrivere anche i gesti più semplici compiuti dal protagonista – che si chiude a causa del Coronavirus in una quarantena ad oltranza, ben oltre i limiti indicati dalle disposizioni governative – si narra la storia di un uomo le cui azioni, anche le più piccole, diventano fondamentali nella sua routine quotidiana, essendo l’appiglio a cui aggrapparsi per non perdere la lucidità.
Andrea è un uomo metodico e tranquillo; è il presidente di una cooperativa sociale ed è appassionato di testi medici, che divora nel tempo libero per mitigare la sua ipocondria. L’autore ci fa entrare nella sua vita nel momento in cui, agli inizi di marzo 2020, il mondo si è fermato per cercare di contrastare l’avanzata del Covid19; Andrea è confuso dai primi decreti che parlano di misure restrittive e di un numero di contagi sempre più elevato, ed è anche spaventato dalla possibilità di prendere il virus essendo affetto da diabete mellito.
«Andrea si svegliò alle sette e quaranta. Sentì un nodo alla gola, non riusciva ad accettare di essere prigioniero dentro la sua stessa casa».
L’autore presenta quindi un diario del lockdown, sin dal giorno uno, in cui descrive l’atteggiamento maniacale adottato dal protagonista per affrontare quel periodo di smarrimento: ad esempio, ogni mattina si osserva attentamente allo specchio, come per essere sicuro di riconoscersi ancora. Lentamente, però, si abbandona alla monotonia della sua “prigionia”, diventando sempre più apatico e nervoso – «Il senso di peso psicologico che Andrea portava dentro di sé – ben oltre la solita sensazione di ansia – era un macigno, messo in bilico tra testa e cuore, che sbilanciandosi, verso l’uno o verso l’altro, lo portava a sragionare o ad avere le palpitazioni». Andrea non fa che pensare al virus e, quando scopre che si sta sperimentando un vaccino, è ossessionato dall’idea di trovare un modo per essere vaccinato al più presto, per «salvarsi dall’imminente distruzione del genere umano».
Mentre il protagonista svela il suo esasperato individualismo che sfocia in un egoismo senza pari, un evento a dir poco surreale lo spinge a cambiare la direzione del suo sguardo; forse una possibilità di salvezza c’è, per quanto sia estremamente azzardata, e potrebbe anche redimerlo dalla sua codardia.
Giuseppe Tecce racconta una storia emozionante che si conclude con un finale profondamente amaro e audace, che lascia un pressante interrogativo sulla veridicità di ciò che ci è stato appena narrato.
SINOSSI DELL’OPERA. Andrea è lo storico presidente di una cooperativa sociale di Benevento. La sua routine, divisa tra gli impegni lavorativi e quelli familiari, subisce una battuta d’arresto che coinvolge buona parte della popolazione terrestre: la pandemia causata dal Coronavirus ridisegna le ascisse e le ordinate della quotidianità. Per Andrea è l’inizio di un periodo di forte disorientamento, poiché la sua salute è fragile e il timore del contagio lo porta all’autoreclusione, oltre i confini del lockdown. Quando cominciano a circolare le prime notizie relative a delle sperimentazioni in un istituto di Napoli, cresce in lui una speranza e in parallelo anche una consapevolezza: se fosse un topo, potrebbe avere un canale privilegiato per raggiungere il prezioso vaccino. E a desiderare troppo qualcosa, a volte, si ottengono risultati insperati.
BIOGRAFIA DELL’AUTORE. Giuseppe Tecce (Benevento, 1972) è laureato in Giurisprudenza e dal 2001 è presidente di una cooperativa sociale di Benevento che si occupa di servizi dedicati a persone svantaggiate ed emarginate, realizzando strutture residenziali di accoglienza per minori temporaneamente allontanati dal proprio nucleo familiare, per persone affette da disabilità psichica e per migranti. Tra il 2012 ed il 2018 è stato presidente del Consorzio di Cooperative Sociali ASIS nella Regione Campania, specializzandosi nella realizzazione di progetti europei. Si occupa di tutela del territorio, valorizzazione e conservazione del patrimonio culturale e di paesaggio tra il Sannio e l’Alta Irpinia, attraverso l’associazione “I Coccioni”. “Storia di un presidente che si credeva un topo” è il suo primo romanzo, dopo “L’agente della Terra di Mezzo”, il diario di un viaggio in bicicletta nella terra Irpina, e due raccolte di poesie.
Casa editrice: Scatole Parlanti
Collana: Voci
Genere: Narrativa contemporanea
Pagine: 118
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