Un Pinocchio che lotta contro la propria riconoscibilità universale, che vuole smarcarsi dal peso di un archivio monumentale. Un film di grandioso impatto figurativo e visionario che rischia per questo di mitigare la capacità di emozionare. Il film di un maestro, tuttavia, perché pochi registi come Garrone saprebbero sorreggere l’equilibrio tra una prima parte di tono realistico popolare e la seconda improntata al gusto esoterico-mostruoso del romanzo gotico e nessuno di riuscire a presentare un Benigni contenutissimo, ligio al ruolo di Geppetto e con la debordante vena istrionica sostituita da un’umanissima e scompigliata naiveté da poverocristo finto padre.
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