“Nessun rimpianto. Certo mi piacerebbe essere ancora a cena con Orson Welles, parlare con John Wayne, salutare John Kennedy in pigiama sulla porta di una casa di Palm Springs all’alba, ma non si può fare. Il passato non torna. E non mi dispero”. E’ stato un piacere conoscere Elsa Martinelli, scomparsa lo scorso 8 luglio nella sua casa romana a ottantadue anni, e un onore usufruire del suo garbato e incuriosito consenso: tra i punti fermi tramandati da un brillante curriculum di attrice, modella, stilista, giornalista, protagonista del jet set non risultano, del resto, preponderanti quelli del rapporto privilegiato con i critici o dell’attenzione dedicatale dalle storie del cinema. La sua personalità, peraltro, irradiava un fascino speciale per ragioni forse più profonde: fotogenica, elegante, raffinata, colta e non a caso soprannominata la Audrey Hepburn nostrana, ha visto riconosciute molte di queste vocazioni diverse e ha perseguito con affabile testardaggine tanto gli obiettivi professionali quanto quelli esistenziali, ma soprattutto ha impresso la sua impronta più duratura al di là della labile superficie mediatica incarnando una delle storie esemplari dell’Italian Dream del dopoguerra.
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