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Riscattare la sovranità per tornare alla Politica: una riflessione sui nostri Padri Costituenti

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Lo stigma del pensiero dominante verso la sovranità è radicato nel neoliberismo, che ha generato un impoverimento materiale e identitario. Eppure, nonostante la censura, il sovranismo è oggi il sintomo del bisogno di una politica che si occupi del popolo, disorientato da una società sempre più instabile. Forse per inveterata ignoranza, forse per ottuse convinzioni, forse – ancora – per quella piaggeria tutta nostrana di compiacere il pensiero dominante per nascondersi nella palude superba della maggioranza, quando parliamo di sovranità spesso affiorano alla mente accostamenti cabalistici a fenomeni considerati tra i più nefasti e negletti della storia: sovranità diventa così sinonimo di nazionalismo, di fanatismo, di sciovinismo, di fascismo e finanche di nazismo.

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Fenomenologia della tradizione e il mondo moderno e tecnico

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Consegnare, affidare, trasmettere, tramandare, parole che non dovrebbero farci diffidare. Parole che abbiamo avuto in consegna, affidate, tramandate insieme al concetto profondo che in esse è racchiuso, affinché lo custodissimo. Già, custodire, altro concetto che non sappiamo più dove abiti, ingarbugliati come siamo dentro i meandri di una modernità frenetica, senza classe né talento e troppo presi ad apprendere ipnoticamente una neolingua globalista a vocazione anglofona (). Prigionieri di un totalitarismo eufemisticamente chiamato liberalismo, che attraverso le leggi di mercato e la logica consumistica… procede allo sterminio delle anime e delle culture. La tradizione non è il passato… [essa] ha a che vedere col passato né più né meno di quanto ha a che vedere col presente e col futuro. Si situa al di là del tempo. Non si riferisce affatto a ciò che è antico… bensì a ciò che è permanente, a ciò che sta dentro. (A. De Benoist, Le idee a posto)

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La sconfitta del pensiero: quando l’uomo rinuncia a comprendere il mondo e crede di poterlo plasmare a propria immagine

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L’uomo ha rinunciato alla comprensione del mondo, crede di poterlo plasmare a propria immagine con potere demiurgico, di doverlo trasformare in direzione dell’utile immediato, di qualcosa di produttivo, tutt’al più di informativo, mai di formativo: bombardarci di informazioni, pressanti, continue, veloci, per non informarci di (e su) niente, nel quadro finale disegnato dall’homo videns. Dall’homo digitans. Varianti dell’homo communicans. Varianti di un pensiero atrofizzato ormai incapace di leggere e studiare, assopito, adagiato sulla comodità del blog, del link, dell’immagine, del social, del tweet: pochi caratteri per dire, commentare, partecipare a un dibattito. Pochi caratteri per dire ciò che avrebbe bisogno di approfondimento, competenza, letture. Ecco allora un mondo nel quale il mito della velocità ci dà l’impressione della conoscenza in tempo reale, quando, diversamente, assorbiamo il mero fluire limaccioso di immagini che non riusciamo a interrogare, comprendere. Non ne siamo capaci per difetto di passione, curiosità, per ignoranza della grammatica e della sintassi di quello stesso mondo che pretenderemmo di trasformare: meglio le sue immagini riflesse, più comodo per la pigrizia mentale che ci attanaglia tutti. Così i fantasmi di una realtà a noi ignota nel suo dipanarsi, assurgono a totem di quella realtà medesima che vorrebbero comunicarci come vera, giusta, autentica, solidale, laddove sono allineati – feticci dell’Assoluto più dispotico e prepotente mai visto in millenni di storia – i valori liturgici che sorreggono la nuova Teologia della socialità obbligata.

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