Gli zombi siamo noi. Anche in Italia, senza attendere il via libera dei “Cahiers du cinéma” che sarebbe arrivato da lì a poco, i sessantottini cinéfili ne colsero subito l’essenza e se la scambiarono come un passaparola. “La notte dei moti viventi”, un horror americano costato la miseria di 114.000 dollari (ma ne incasserà circa trenta milioni nel mondo), 96 minuti in bianco e nero, senza attori noti e denso di polemici riferimenti all’attualità senza, però, ricorrere alle prediche del cinema etico-politico, divulga così il nome di George A. Romero, uno dei registi chiave della New Hollywood morto ieri per una grave malattia a Toronto. Nato nel febbraio 1940 a New York da padre cubano, Romero si trasferisce a Pittsburgh e insieme ad alcuni amici si occupa di spot e documentari prima di fondare la casa di produzione Image Ten il cui primo titolo sarà proprio “Night of the Living Dead” uscito nell’ottobre 1968. Sia pure ricco di precedenti nobili, come il cult di Val Lewton “Ho camminato con uno zombi”, il film ispirato a un racconto del maestro di un’intera generazione di cineasti indipendenti Richard Matheson sviluppa in maniera geniale il tema (anche western) dell’assedio adattandolo a quello distopico dell’epidemia distruttrice: una volta contagiati da un virus procurato dai maneggi del potere, gli uomini non diventano mostri o vampiri, bensì “morti viventi” avidi della carne dei sopravvissuti.
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