Il potere del cane della regista Jane Campion, nella cinquina dei film candidati all'Oscar 2022 come miglior film internazionale, non è un un capolavoro e nemmeno un “anti-western”. Riguardo al genere – diciamo: western terminali – non c’è paragone con il barocco, onirico, sballato I cancelli del cielo (1980; dirige Michael Cimino) o con il lucido, commosso, violento film di Clint Eastwood, Gli spietati (1992). D’altronde, il romanzo di Thomas Savage (ottimo autore di genere), da cui dipende la pellicola di Jane Campion, non ha a che fare con Meridiano di sangue, il libro definitivo di Cormac McCarthy. Questione di altezze e di fango; interessante, semmai, far caso al fatto che il West americano pare una rotolo-rotocalco aggiunto al biblico Libro dei re: è sempre una vicenda di eredi, di fratelli, di promesse, di tradimenti, sopra cui incombe la cupa morale di un dio amorfo, morboso, cupo.
Read More »‘I fratelli Sisters’: il western schizofrenico dal respiro antico di Audiard
Il nero che occupa l’intera superficie dello schermo è squarciato da uno sparo, poi due, poi tre; risuonano poco distanti due voci secche e concitate… ed ecco che dal buio della notte emergono le sagome spettrali dei fratelli bounty killers. …
Read More »‘I segreti di Wind River’ di Taylor Sheridan : un mondo senza concessioni, spogliato di ogni eroismo
A pochi giorni dall’uscita di Hostiles (un bel film zavorrato da lentezze e pretensioni iper-autoriali), Hollywood raddoppia con I segreti di Wind River, western contemporaneo di ben maggiori sostanza e ritmo. Per la precisione si tratterebbe di un thriller, ma la mitologia del Far West acquista un ruolo decisivo nell’impianto costruito su misura dei gusti e le propensioni del regista texano Sheridan, già sceneggiatore di grandiosi duelli all’ultimo sangue ambientati nei moderni territori di frontiera (Sicario e Hell or High Water). Il taglio netto e concentrato dei vecchi e nuovi maestri del genere ci trasporta, infatti, nella riserva pellerossa del Wyoming flagellata dalla neve per molti mesi all’anno dove si staglia la figura eastwoodiana del protagonista Cory (Renner, grande attore non abbastanza promozionato) di professione cacciatore dei lupi e i leoni di montagna micidiali per il bestiame. Gravato da un atroce trauma familiare, il neocowboy è rispettato e benvoluto dagli allevatori e dagli Arapaho e Shoshone superstiti che se la passano assai male per colpa di disoccupazione, droga e alcolismo: così, quando una ragazza di Wind River viene trovata senza vita, Cory viene ingaggiato dalla polizia locale per scoprire la verità e dare la caccia all’assassino, mentre l’Fbi decide d’affiancargli l’affascinante quanto spaesata collega Jane (Olsen). Si capisce subito, in effetti, quanto il climax investigativo e il piglio antropologico con acclusa denuncia progressista sulle condizioni dei nativi risultino tradizionali e prevedibili; però la brutalità darwiniana messa in scena senza sosta tra i candidi bagliori di una landa pour cause “animalesca” ha tutta la forza necessaria per avvincere gli spettatori e riconsegnargli il fascino perduto di quello che continuiamo a definire il cinema americano per eccellenza.
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